Nel marzo del 2011 il preside di una scuola londinese chiede a uno degli insegnanti, Khaled, che viene dalla Libia, di tenere una lezione sulle proteste che molto presto sarebbero diventate le primavere arabe. Lui preferirebbe non farlo perché “non sa molto di politica”. La bugia è palese. Come gli dice l’amico Hosam, la storia è una corrente e nessun libico può sperare di nuotare controcorrente: “Ci siamo dentro e siamo fatti di quello”. La vita dello stesso autore, Hisham Matar, è stata crudelmente agitata da quella corrente. Questo è un romanzo coraggioso oltre che molto delicato, emotivamente e intellettualmente. Tre giovani uomini libici, esiliati a Londra, diventano amici, si allontanano e si ritrovano per poi perdersi definitivamente. Le loro storie risalgono all’infanzia, ma quella principale comincia nel 1984, quando alcuni militari dentro l’ambasciata libica a Londra sparano con un mitra su un gruppo di manifestanti disarmati. Khaled e un suo amico, un altro studente, sono tra i feriti. Rimangono settimane in ospedale sorvegliati dalla polizia. Sono sorvegliati anche dallo spionaggio libico e non possono comunicare nemmeno con le loro famiglie. La narrazione di Matar si avvita e torna ripetutamente a certi momenti cruciali che spesso sono silenziosi. Alla fine comprendiamo che questi tre uomini sono incapaci di formare famiglie felici perché tutto nella loro vita sembra diventare sempre più provvisorio.
Lucy Hughes-Hallett, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati