Se nel precedente Sap del 2022 Okaya Kaya si rivolgeva a Dolly Parton, con Oh my God - that’s so me prende in considerazione i miti greci. In Picture this trasforma la storia di Sisifo nella fantasia di prendere il controllo della propria vita. Non ci attira tanto con i testi, anche se sono divertenti, quanto con quella voce che fa pensare che sia a corto di ossigeno: una languida polvere di stelle degna di Moon safari degli Air. Scritto e registrato su un’isola al largo di Oslo, nella nuova casa della musicista statunitense di origine norvegese, il suo quarto album non lascia mai versi laceranti sospesi a mezz’aria. Le sue osservazioni sulla sensazione di distacco che molte persone avvertono oggi sono avvolte dalla compassione. Questa canzoni buffe, strane e tenere sono nate sotto una luce più soffice rispetto ai dischi precedenti di Kaya Wilkins, vero nome dell’artista. Ad alcuni non piacerà l’assenza d’inquietudine ma non ci sono dubbi sulla sua abilità nel comporre melodie avvolgenti.
Laura Snapes, Pitchfork

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati