I Cure si portano benissimo i loro quarantacinque anni di carriera, a partire dall’estetica e dalla voce di Robert Smith. Ma la cosa più importante è quanto gli importa ancora di quello che fanno. La lunga gestazione di Songs of a lost world è il risultato del loro perfezionismo: alcune canzoni risalgono a una decina d’anni fa. Questa è solo la seconda volta nella storia del gruppo britannico che un album è stato scritto completamente dal frontman. Il lavoro è stato ispirato da perdite personali del musicista: il dolore è denso e non c’è spazio per qualcosa di simile a Friday I’m in love. Il contrasto tra romanticismo e horror in pezzi come All I ever am è la chiave dei momenti migliori del disco, che fin dall’inizio richiama a una certa malinconia. La mortalità è il tema portante di questi paesaggi. Songs of a lost world è il lavoro migliore dei Cure dai tempi del governo Thatcher. Smith dice che sono avanzate canzoni per altri due album. Se gli dedicheranno la stessa cura che hanno riservato a questo, i loro fan saranno molto contenti.
Joshua Mills, The Line of Best Fit

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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati