Dall’inizio di ottobre l’esercito israeliano sta assediando il nord della Striscia di Gaza. Israele ha bloccato quasi completamente l’ingresso degli aiuti umanitari, affamando così le centinaia di migliaia di persone che vivono nell’area. Le informazioni che emergono dalla zona assediata sono solo parziali, perché fin da quando è cominciata la guerra Israele ha impedito ai giornalisti di entrare a Gaza.
Ma anche sulla base di quel poco che è stato rivelato all’opinione pubblica, due cose si possono affermare su questo assedio. In primo luogo, i quotidiani bombardamenti dell’esercito israeliano su città e campi profughi nel nord di Gaza hanno causato un numero enorme di vittime civili: bambini, donne, anziani e uomini innocenti che non hanno commesso alcun crimine. Inoltre, le strutture sanitarie e gli altri servizi di assistenza sono in gran parte collassati, come altre istituzioni. Di conseguenza, centinaia di migliaia di persone sono a rischio di carestia o stanno già soffrendo la fame.
Israele afferma di aver comunicato che bisogna lasciare il nord di Gaza e che si può ancora andare verso sud lungo i percorsi stabiliti dall’esercito a questo scopo. Così gli abitanti del territorio, molti dei quali sono già stati cacciati due o tre volte, o anche di più, dai luoghi in cui si erano rifugiati per scappare dagli orrori della guerra, sono costretti a spostarsi di nuovo. Inoltre Israele si è rifiutato di dare agli sfollati qualsiasi garanzia di poter tornare ai luoghi d’origine una volta che la guerra sarà finita.
Considerate queste premesse, non c’è da stupirsi se ci sono seri sospetti che Israele stia commettendo una pulizia etnica nel nord di Gaza e che l’operazione sia mirata a svuotare definitivamente quest’area dai palestinesi. Il sospetto trova un riscontro sia nei princìpi del “piano dei generali” promosso dal generale Giora Eiland – che il ministro della difesa Yoav Gallant nega di seguire – sia nelle richieste dei partiti suprematisti ebraici della coalizione di governo, che perseguono esplicitamente una politica di espulsioni di massa e di ricolonizzazione del nord della Striscia.
Nessun intervento
La pulizia etnica è un crimine sia per la legge sia per la morale. Il diritto penale internazionale considera le espulsioni di massa un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità. È spaventoso che qualcuno nel governo di Benjamin Netanyahu voglia farle. Appena Israele ha lanciato la sua offensiva nella Striscia più di un anno fa alcuni politici hanno cominciato a chiedere di “cancellare Gaza” e di realizzare una “seconda Nakba”, riferendosi alla cacciata dei palestinesi dalle loro terre al momento della nascita di Israele nel 1948. Ma molti israeliani hanno preso alla leggera queste affermazioni, e il sistema giudiziario, guidato dalla procuratrice generale Gali Baharav-Miara, non è intervenuto contro questo incitamento a commettere un crimine.
Ora ne vediamo i risultati: Israele sta scivolando verso la pulizia etnica, i suoi soldati stanno realizzando le politiche criminali della destra messianica, e anche le opposizioni di centro e centrosinistra non fanno obiezioni. Questo consenso per la pulizia etnica è vergognoso e qualunque personaggio pubblico che non chieda la fine dell’espulsione di fatto dei palestinesi sta sostenendo questo crimine e ne è diventato complice.
Se questo processo non si fermerà immediatamente, centinaia di migliaia di persone diventeranno rifugiate, intere comunità saranno distrutte e la macchia di questo crimine sarà indelebile e perseguiterà ogni israeliano. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati