Almeno una volta nella vita ogni cambogiano dovrebbe andare ad Angkor, il luogo dove è nata l’identità del paese. Un’identità ancora oggi molto viva. Non a caso la bandiera cambogiana è l’unica al mondo a riprodurre un monumento, cioè l’Angkor Wat. Questo tempio-costruzione, che è anche un tempio-galleria, è il più grande edificio religioso del mondo. Circondato da mura lunghe 3,6 chilometri, fa parte di un complesso di templi collegati da una rete idraulica incredibilmente elaborata, su un’area di 162 ettari. Fu costruito dal re dei khmer Suryavarman II all’inizio del dodicesimo secolo, a Yaśodharapura, la capitale del regno. È quello meglio conservato di Angkor, una delle più grandi città medioevali del mondo, ed è l’unico a essere rimasto anche un importante centro religioso indù. Suryavarman II lo dedicò al dio Visnù, diversamente da quanto avevano fatto i re precedenti che l’avevano consacrato a Shiva.
Alla fine del dodicesimo secolo l’edificio si era progressivamente trasformato in un tempio buddista. Abbandonato per ragioni misteriose nel quindicesimo secolo, forse a causa della possibile invasione della Thailandia (che a quel tempo si chiamava Siam) o per ragioni climatiche, Angkor Wat è stato riscoperto solo verso la metà dell’ottocento dal naturalista francese Henri Mouhot, che trovò in quella giungla delle meraviglie architettoniche invase dalla vegetazione e dagli alberi, cresciuti sui monumenti fino a rompere la pietra.
Il fotografo Ly Sovanna ricorda quando da bambino sua madre gli diceva: “Angkor Wat è magnifico e ha molte sculture e rappresentazioni di Apsaras (uno spirito femminile delle nubi e delle acque delle mitologie indù e buddista). Se riuscissimo a visitarlo, anche una sola volta nella vita, sarebbe meraviglioso”. Entrambi sognavano di fare questo viaggio, che purtroppo non si è mai realizzato. Ly Sovanna, nato nel 1979 nella provincia di Kampong Cham e cresciuto nella provincia di Kampong Thom, ha perso la madre quando aveva tredici anni e il padre l’anno successivo. Ecco perché per il suo primo lavoro fotografico ha realizzato delle immagini che raffigurano questo sogno trasformandolo in un rituale. Per farlo ha chiesto a una ragazza di accompagnarlo al sito archeologico e l’ha ritratta durante la sua visita.
Il risultato è un racconto a metà tra realtà e finzione che, grazie al modo in cui è scattato e alla presenza di elementi e riferimenti spirituali, appare misterioso. La prima particolarità è l’uso del bianco e nero, una scelta rara in un paese in cui non c’è più alcun laboratorio capace di sviluppare pellicole fotografiche e dove, grazie al digitale, il colore si è imposto in modo del tutto naturale. La scelta del bianco e nero evita qualunque realismo e induce all’astrazione; inoltre permette, giocando sui contrasti, di creare un’atmosfera al tempo stesso irreale e leggermente drammatica.
Un sentimento simile si prova guardando la figura della ragazza, che rappresenta la madre scomparsa del fotografo. Leggermente sfuocata, mossa, fragile, quando si muove tra gli altri visitatori sembra sprigionare un’aura che la circonda, uno spirito bianco che risalta sulla pietra. Nella foto con gli irrigatori che innaffiano il prato, anche l’acqua sembra contribuire a una presenza mistica, una sorta di rivelazione degli spiriti. La pietra, il tempio, servono da scenografia, da sfondo, a volte inseriti in inquadrature ampie dove si colgono bene le dimensioni dell’edificio e delle sue torri; altre più strette rivelano i bassorilievi, prima che la ragazza s’inserisca nel rettangolo di una porta, tra due apsaras.
Al chiaro di Luna
Il titolo della serie, Ranoch visited Angkor, racconta qualcosa in più sulle intenzioni dell’autore. Ranoch infatti è un periodo dell’anno in cui il chiarore notturno della Luna diventa sempre più debole. “Questa luce simboleggia la vita di mia madre”, spiega Ly Sovanna, che sfrutta un’illuminazione particolare senza appesantire l’immagine, dando all’insieme un aspetto irreale, grazie a composizioni in controluce e a una bella variazione di grigi punteggiati da bianchi e neri incontaminati.
Prima di diventare fotografo, Ly Sovanna ha lavorato molti anni nel settore della comunicazione. Dopo la laurea in tecnologia dell’informazione nel 2003, ha fatto il giornalista. Dal 2005 al 2009 è stato corrispondente di Uca news, l’agenzia di stampa della chiesa cattolica in Asia e dal 2009 ha lavorato per l’Ufficio nazionale cattolico delle comunicazioni sociali in Cambogia. Fino al 2014 ha fatto parte del consiglio di amministrazione di Signis Asia, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, e dal 2014 al 2017 ne è stato vicepresidente.
Sebbene sia sempre stato molto interessato alla fotografia, solo dopo essere entrato a far parte del Nimith art space, il piccolo seminario annuale del fotografo cambogiano Mak Remissa, ha dato forma a questo progetto su Angkor. Come un omaggio alla madre e una sorta di continuazione di un viaggio impossibile: “Ho sempre pensato alle persone anziane che non possono andare a visitare Angkor. È per questo che ci porto spesso i miei zii. Quando arriviamo ad Angkor Wat, tutti sono molto contenti e fanno grandi sorrisi. Guardandoli penso spesso a mia madre. Se fosse ancora viva, sono sicuro che sarebbe stata molto felice di venire”.
Questo lavoro è un omaggio a sua madre, la continuazione di un viaggio impossibile
Attraverso la fotografia Ly Sovanna ha realizzato un sogno. In un paese buddista dove la reincarnazione è credenza comune, questo sogno è visto in maniera diversa da come lo interpretiamo nel mondo occidentale. La fotografia può reinventare la percezione del mondo o farci vedere quello che non esiste, ma non può riportare i defunti tra di noi. Non si tratta quindi di fantasmi né di veri esseri umani, ma solo di presenze per sognare oggi un passato che ieri era impossibile.◆ adr
◆ La serie Ranoch visited Angkor di Ly Sovanna è in mostra al Bophana center, un centro audiovisivo fondato dal regista cambogiano Rithy Panh, fino al 21 dicembre 2024, nell’ambito della quindicesima edizione del festival Photo Phnom Penh.
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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati