Il progetto Lebensborn consisteva in una serie di asili nido e nursery voluti dai nazisti per crescere bambini di “razza pura”. La scrittrice Caroline De Mulder ne parla come se immergesse la penna direttamente nel ventre del diavolo. La struttura di Himmler si trova in Baviera, siamo nel 1944 ed è il primo reparto di maternità nazista (ce n’erano altri, anche in Francia, destinati a far crescere bambini “perfetti”). De Mulder racconta le storie di Renée, Helga e Marek, che si alternano nei vari capitoli. Quando ci viene presentata, Renée ha i capelli rasati, ha vent’anni e non parla tedesco. La giovane donna aspetta un figlio da un soldato tedesco, Artur Feuerbach. Incontriamo anche Marek, fuggito da Dachau. Ha trovato rifugio nei pressi del centro, dove si nasconde e può rubare le bucce delle verdure. Poi c’è Helga, la caposala, devota e obbediente, quella che tiene nota di tutto. Con Renée è indiscutibilmente il personaggio più forte: Helga ama i neonati, ma non le loro madri. L’orrore può rivelarsi anche nei luoghi più belli e Heim Hochland è “una cartolina da sogno”, come dice l’ex collega di Helga. “Il posto non somiglia a una caserma, né tanto meno a un ospedale. Sembra piuttosto una pensione per vacanze molto ben gestita”. Ma cosa succede ai bambini che non soddisfano i criteri? Molto rapidamente apprendiamo che un neonato muore all’improvviso, apparentemente vittima di un’infezione polmonare.
Mohammed Aïssaoui, Le Figaro

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati