Il terzo romanzo della scrittrice Eowyn Ivey ruota intorno alla vita disordinata di Birdie. La donna gestisce un bar in un remoto complesso in Alaska e tende a far festa con alcol e cocaina insieme alla gente del posto. Questo le fa trascurare la figlia di sei anni, Emaleen. Birdie è attratta da un uomo, Arthur, che è gentile ma un po’ strano: scompare nei boschi per lunghi periodi e pensa che un pezzo di tundra possa essere un bel regalo. Con il passare del tempo ascoltando il padre preoccupato di Arthur, Warren, Birdie scopre qualcosa di più su ciò che l’ha reso così distante, quasi inselvatichito. In parte storia d’amore un po’ nera, in parte racconto d’avventura, questo romanzo ha tracce del misticismo, del folclore e delle fiabe che hanno caratterizzato i due precedenti romanzi di Ivey e, nel suo momento più forte, immerge profondamente il lettore nella peculiare prospettiva di Arthur sul mondo. Eppure la natura dell’attrazione tra Birdie e Arthur non è ben descritta e la piccola Emaleen è stucchevolmente precoce. Tra i suoi meriti Eowyn Ivey ha, come Margaret Atwood, il dono di scrivere sulla natura in modi stravaganti ma non surreali. Tuttavia la struttura generale del libro è un po’ scricchiolante. Un tentativo rispettabile, anche se imperfetto, di esplorare il confine tra natura umana e animale.
Kirkus Reviews

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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati