Nel 2011 il cantautore torinese Daniele Scardanelli nel suo disco Il buon senso spiegato al mio cane scrisse una canzone intitolata Voglio sparare al presidente . L’io narrante del brano canta gioiosamente di voler sparare al presidente, non per motivi sovversivi o rivoluzionari, ma per sostituirlo con una dittatura di sagome di cartone con cui ipnotizzare il popolo: “Voglio folle oceaniche inginocchiate / davanti a quattro immagini ritagliate”. Ma già l’ironia cominciava a scarseggiare: l’ascolto attento della canzone era sostituito da uno più populista e immediato, pericolosamente letterale. Scardanelli fu criticato: davvero stava cantando “voglio sparare al presidente”? L’ironia, la via che Socrate indicava come necessaria non tanto per far valere le proprie idee, ma per lasciarsi alle spalle le opinioni personali e raggiungere insieme la verità, sembra sparita dalle nostre vite. Il suo posto è stato preso da una violenza letterale: quella che infiamma i discorsi apocalittici dei politici, che distrugge i rapporti e che soffoca ogni sforzo interpretativo. Tutto viene preso alla lettera e diventa pane accusatorio. Non mi sorprendo se qualcuno spara a un possibile presidente, perché in quel gesto non c’è niente di rivoluzionario, è il risultato di un’ipnosi collettiva di sagome di cartone, in cui la violenza sembra l’unica soluzione. Provo a spiegare il buonsenso alla mia cagnolina, ma lei mi guarda con gli occhi compassionevoli di chi sa che siamo proprio nei guai.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati