◆ È stato emozionante incontrare a Roma Francis Ford Coppola, che si è rivolto a un pubblico pieno di studenti definendosi prima di tutto uno studente e sperimentatore. Abbiamo presentato insieme al cinema Troisi Due soldi di speranza di Renato Castellani, che vinse il festival di Cannes nel 1952. Il film racconta le avventure di Antonio e Carmela, che vogliono tanto sposarsi ma vivono in un paesino del sud in cui si mormora, si viene a sapere, si sospetta. L’intera popolazione di Boscotrecase, vicino a Napoli, partecipò alle riprese. Mi sono ricordata di quando, nei miei primi viaggi in Calabria, gli anziani nei paesi mi chiedevano: a cu appartenite? , a chi appartieni? Quella domanda mi sembrava un segno di arretratezza patriarcale: io non appartengo a nessuno! Tempo dopo ho capito che quell’appartenere non aveva niente a che vedere con la proprietà: voleva dire “da quale contesto vieni? Chi sono le tue genti?”. Sono cresciuta in un’epoca in cui la domanda per identificare il prossimo era “che fai?”. Così mi sono focalizzata sul fare per definirmi. Ora mi ritrovo in un’epoca in cui la domanda è diventata “quanto guadagni?”. Ho approfittato della serata per chiedere a Coppola che domanda farebbe oggi a uno sconosciuto per capire chi è. È stato un attimo in silenzio e poi ha risposto: “A cosa sei fedele?”. Una bella domanda da fare agli altri, ma anche a noi stessi.
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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati