Il centenario della Repubblica di Turchia è stato festeggiato, il 29 ottobre, con celebrazioni decisamente in tono minore; per intenderci, niente di paragonabile alla festa per il bicentenario dell’indipendenza della Grecia o alle commemorazioni della rivoluzione francese. Il massacro in corso a Gaza ha fornito al governo un’ottima scusa per cancellare perfino la tradizionale festa al palazzo presidenziale. Il vero motivo, tuttavia, è che il regime non ha alcun interesse a onorare un simbolo contro cui sta combattendo.

La repubblica turca moderna – filoccidentale, basata sul rispetto della legge e soprattutto laica – che nacque dalle ceneri dell’impero ottomano per volere di Mustafa Kemal Atatürk e dei suoi compagni il 29 ottobre 1923 oggi non esiste più. Se i nemici della repubblica oggi dovessero festeggiare qualcosa, sarebbe piuttosto il suo collasso e la sua sostituzione con il “secolo della Turchia”.

Ma come ha fatto il paese ad arrivare a questo punto? Il sistema di governo della Turchia moderna è stato fondato su una sanguinaria pulizia etnica che nell’arco di trent’anni (1894-1924) eliminò tre milioni di cittadini non musulmani, un quinto della sua popolazione dell’epoca. Fondamenta così fragili non potevano che produrre conseguenze nefaste. In quegli anni, inoltre, la Turchia distrusse la sua borghesia, composta principalmente da armeni, greci e altre minoranze non musulmane. La cosiddetta borghesia musulmana creata dal nulla dopo il 1923 era per definizione asservita allo stato. Sotto il giogo di un regime onnipotente diventato l’unico attore in grado di dettare le regole, il contratto sociale si trasformò in un’illusione.

Ancora oggi il paese è composto da gruppi in contrasto tra loro, che vivono ognuno nel suo mondo: i laici e i fedeli sunniti turchi, gli aleviti e i curdi, i privilegiati e gli emarginati, i giovani e i vecchi. Questi gruppi hanno pochissimi punti di contatto. Dal punto di vista legale, la frammentazione si traduce nell’assenza di una cittadinanza che sia costituzionalmente riconosciuta a tutti nello stesso modo. In Turchia ci sono cittadini di prima, seconda e terza classe. Oggi la prima classe è costituita dai turchi sunniti, gli elettori di Erdoğan. Poi vengono gli altri.

Ma la debolezza più critica riguarda le istituzioni.

Durante i primi decenni della repubblica la classe media laica aveva garantito allo stato una relativa stabilità. Quando il caos sociale diventava ingovernabile, i fallimenti del sistema erano corretti da colpi di stato militari. La stabilità era possibile anche per il posizionamento internazionale della Turchia durante la guerra fredda dalla parte del “mondo libero”. Ma quest’illusoria solidità è stata spazzata via da una serie di fattori interni ed esterni, a cominciare dal principale avversario della repubblica laica: l’islam politico.

Quello che è successo in Turchia dal 2013 è molto istruttivo. Quando l’islam politico ha cominciato ad attaccare le istituzioni repubblicane ne ha evidenziato tutta l’inconsistenza. Sprovviste di un sistema di contrappesi, incapaci di mantenere un contratto sociale solido e prive di meccanismi di controllo, queste istituzioni hanno mostrato una totale mancanza di resilienza. E sono state distrutte: l’economia, l’amministrazione, l’esercito, l’università, la diplomazia, il sistema giudiziario, i mezzi d’informazione.

Alla deriva

Oggi la Turchia è un paese malato con uno stato fallito, popolato da persone in preda alla paranoia e con un’economia in crisi che cerca di sopravvivere affidandosi alle donazioni dei paesi arabi più ricchi. Il sistema scolastico è devastato e le persone istruite fuggono all’estero. Inoltre la Turchia è in uno stato di guerra perenne con buona parte della sua popolazione (a cominciare dai curdi), mentre all’estero è coinvolta nelle eterne guerre combattute nel Caucaso, in Iraq e in Siria.

La Turchia non è più un paese dove vige lo stato di diritto, ma un regime totalitario in cui l’arbitrio è diventato la norma.

Per quanto riguarda il presidente Recep Tayyip Erdoğan, la sua ossessione resta Atatürk, l’unica figura storica di cui non è riuscito a sbarazzarsi. Il presidente si considera la nemesi del fondatore della repubblica. Crede di poter cancellare Atatürk e prenderne il posto come il maggiore statista della nazione, proprio come il “secolo della Turchia” dovrebbe cancellare e sostituire la repubblica nata cent’anni fa.

Il regime totalitario messo in piedi da Erdoğan gli sopravvivrà finché la maggioranza delle popolazione penserà e si comporterà come lui. Di conseguenza, per diventare un paese normale, la Turchia dovrà attraversare un processo simile alla denazificazione vissuta dalla Germania dopo il 1945.

Oggi non c’è molto da celebrare. Alcuni elementi ci danno il quadro della situazione. Negli anni cinquanta l’economia della Corea del Sud e quella della Turchia erano allo stesso livello di arretratezza, oggi la Corea è molto più avanzata; il valore aggiunto delle esportazioni turche è inferiore a quello greco o armeno; i componenti fondamentali dei droni assassini, orgoglio dell’industria militare turca, sono tutti importati, e anche il settore automobilistico si riduce al semplice assemblaggio di componenti; la Turchia non fa più parte del gruppo ristretto dei paesi autosufficienti dal punto di vista agricolo, oggi importa più di quanto esporti; il paese è tra quelli di media industrializzazione che inquinano di più; in un modo o nell’altro Ankara è in conflitto con quasi tutti i suoi vicini e la società turca è consumata da una violenza infinita; la Turchia ha gravi lacune per quanto riguarda il rispetto dei diritti e delle libertà; il livello d’istruzione delle ragazze è più basso che in Iran; il paese è in fondo a tutte le classifiche internazionali sulla qualità della scuola; la maggioranza degli scienziati di valore lavora all’estero; non esistono premi Nobel turchi, tranne uno per la letteratura; nel campo della letteratura e delle arti non ci sono figure di rilevanza globale; tra le personalità internazionali, per esempio mediatori o negoziatori, non c’è un solo nome turco; e nemmeno tra gli studiosi islamici più importanti si contano cittadini turchi. Insomma, non c’è niente da celebrare. ◆ as

Cengiz Aktar è un saggista turco e professore di scienze politiche all’università di Atene. Il suo ultimo libro è Il malessere turco (Il Canneto 2022).

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati