Nel 2024 quasi tutti i paesi dell’Asia meridionale andranno alle urne. Un anno elettorale inaugurato nel settembre 2023 con le presidenziali alle Maldive. A novembre in Bhutan sono cominciate le votazioni per il rinnovo del parlamento che finiranno il 9 gennaio. Il 7 gennaio sarà la volta delle elezioni in Bangladesh e a febbraio di quelle in Pakistan, seguite dal voto in India a maggio. Più avanti si terranno le presidenziali e le legislative in Sri Lanka.
L’anno elettorale nell’Asia meridionale è importante per due motivi. Il primo è la fragilità delle democrazie della regione. Il Bhutan e le Maldive hanno avuto elezioni davvero democratiche solo a partire dal 2007 e dal 2008. Il Bangladesh dal 2009 è guidato dallo stesso partito. Nessun primo ministro pachistano ha mai completato un mandato. La democrazia in Sri Lanka e in India sembra aver fatto passi indietro. Poiché gli abitanti dell’Asia meridionale formano metà della popolazione mondiale che vive sotto governi indicati dalle urne, quello che succede nella regione sarà determinante per lo stato della democrazia mondiale.
Il secondo motivo è che l’Asia meridionale riveste un’importanza strategica sempre maggiore. In termini economici, quest’anno potrebbe diventare la regione con la crescita più rapida al mondo, alimentata in gran parte dal fatto che quasi il 40 per cento della popolazione ha meno di diciott’anni. Significa che le scelte compiute nei paesi dell’Asia meridionale avranno vaste ripercussioni sulle questioni di politica internazionale. Prendiamo per esempio le Maldive, il Bhutan e lo Sri Lanka, tutti e tre coinvolti nel fuoco incrociato della rivalità tra India e Cina. Il presidente delle Maldive Mohamed Muizzu ha promesso di abbandonare la relazione privilegiata con l’India del suo predecessore, scegliendo legami più stretti con Pechino. A ottobre il ministro degli esteri bhutanese Tandi Dorji ha compiuto una visita senza precedenti in Cina, forse un segnale dell’intenzione di stabilire relazioni diplomatiche formali che modificherebbero la politica estera di Thimpu, da sempre centrata sull’India.
In realtà nessun paese della regione può svincolarsi completamente da una delle due potenze, data l’influenza geografica ed economica di entrambe. La rivalità sinoindiana in Asia meridionale ha però implicazioni politiche più ampie. È emerso con chiarezza quando l’erogazione della seconda rata del pacchetto di salvataggio del Fondo monetario internazionale per lo Sri Lanka è stata ritardata per mesi, un fatto che alcuni hanno ricondotto alle resistenze della Cina sul ruolo dell’India nel comitato dei creditori di Colombo, insieme a Giappone e Francia. Pechino ha mostrato un’evidente avversione a partecipare a iniziative regionali e globali a guida indiana, come dimostra l’assenza del presidente cinese Xi Jinping al G20 di New Delhi a settembre. Questa posizione ha delle implicazioni per la stabilità dello Sri Lanka e riflette più in generale le sfide della ristrutturazione del debito per i paesi di cui Cina e India sono creditori.
Di pari passo
Il Bangladesh invece è un esempio importante di paese dove lo sviluppo economico e l’arretramento democratico sono andati di pari passo. La prima ministra Sheikh Hasina ha consolidato la sua posizione in tre mandati consecutivi al potere. Migliaia di attivisti dell’opposizione sono stati incarcerati e questo ha provocato crescenti tensioni con l’occidente. In molti, però, hanno accolto con favore la fine dell’epoca delle due “signore in guerra” – quando il potere oscillava, a volte sfociando nella violenza, tra la Lega Awami di Hasina e il rivale Partito nazionale del Bangladesh di Khaleda Zia – e la nascita di un panorama politico più stabile e prevedibile, che a sua volta ha facilitato lo sviluppo economico. I bangladesi sotto la soglia di povertà sono meno del 13 per cento, mentre nel 1991 erano il 50 per cento. Il paese ha superato il Pakistan in termini di reddito pro capite, un traguardo importante se si considera che il Bangladesh fino al 1971 faceva parte del Pakistan. Questi risultati s’inseriscono nel perenne dibattito sui compromessi tra democrazia e sviluppo.
Il Pakistan, dal canto suo, è stato colpito di recente da attacchi terroristici, inondazioni devastanti e crisi economica, tutti problemi peggiorati da una politica disfunzionale. Le prossime elezioni sono state rinviate oltre la scadenza regolare per la decisione tardiva di procedere prima del voto a una riorganizzazione elettorale basata sul censimento. Tra le proteste dei sostenitori di Imran Khan, primo ministro sfiduciato dal parlamento nel 2022 e incarcerato lo scorso agosto dopo una condanna per corruzione, e l’improvviso ritorno in Pakistan dall’ex premier Nawaz Sharif, anche lui rimosso in passato, c’è il timore che la “classe dirigente” del paese – ovvero i servizi d’intelligence militare – stia cercando di manipolare il processo democratico. La precaria situazione politica di Islamabad è un rischio per la stabilità della regione, in particolare per l’Afghanistan, dove il rimpatrio forzato di circa 300mila profughi che vivevano in Pakistan ha peggiorato la crisi umanitaria in corso. Le tensioni croniche con l’India sono motivo di ulteriori preoccupazioni.
L’India è l’elefante nella stanza che, pur continuando a essere una vivace democrazia, è sempre più spesso accusata di essere diventata, con il primo ministro Narendra Modi, una democrazia illiberale o un regime autoritario. In occidente l’India è spesso considerata la più grande democrazia del mondo. Ma New Delhi raramente promuove la democrazia come elemento della sua politica estera. Perciò se è vero che l’India e l’occidente hanno interessi comuni – tenere a bada l’ascesa della Cina – non vuol dire che abbiano valori condivisi. L’India è una sostenitrice dell’ordine internazionale basato sulle regole, che però non equivale all’ordine internazionale liberale, su cui New Delhi ha una posizione più ambigua. Sarà importante tenere a mente questa distinzione quando il governo fisserà la data delle elezioni e si celebrerà la straordinaria capacità del paese di condurre il più grande esercizio elettorale del mondo.
Che le democrazie dell’Asia meridionale siano imperfette è noto. Ma dato l’effetto a catena di questa situazione sulle questioni globali – dalla sostenibilità del debito alla crisi climatica all’estremismo religioso, dalle relazioni tra grandi potenze alla natura stessa della democrazia – l’anno elettorale in Asia meridionale sarà particolarmente importante. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati