Anni fa l’artista Adam Basanta mi mostrò come la data visualization potesse trasformare un romanzo in una mappa per vedere quante volte nei Miserabili di Hugo o in Madame Bovary di Flaubert i personaggi s’incrociano l’un l’altro, quante volte un aggettivo segue un sospiro e come una serie di ricorrenze involontarie diventi un livello segreto di poesia e intelligenza. Approfittando del titolo dell’ultimo lavoro di Alessandra Novaga, The artistic image is always a miracle (uscito per Die Schachtel), m’interrogo sui riferimenti incrociati all’interno della mappa che siamo diventati.
Nello specifico, ripercorrendo il lavoro di reincanto che Novaga fa al suono della chitarra per adattarne le proprietà a progetti situati di volta in volta in un ambito artistico diverso – dal cinema di Fassbinder al giardino celestiale che il regista Derek Jarman creò in una terra desolata infestata da una centrale nucleare – mi chiedo quante volte durante le sue meditazioni attorno allo strumento Andrej Tarkovskij si sia effettivamente acceso come una lucciola neuronale in concomitanza con Johann Sebastian Bach, compositore amato e molto usato dal regista russo, e quanto il lavoro di uno attivi il ricordo dell’altro in maniera interdipendente. Novaga traduce questa doppia luce all’interno della mappa che lei stessa è, e a cui fornisce la carta e il territorio, in maniera elegiaca, tersa, chiedendo a chi la ascolta di farsi un po’ nebbia. Ci sono dischi che aiutano a sentirsi più vasti della materia (o memoria) di cui si è fatti. Però bisogna sentirsi un portale. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati