In cinquantamila al Circo Massimo di Roma per Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè, una festa apparentemente cittadina, considerando la formazione dei musicisti e la loro appartenenza, ma piena d’innesti da altri posti: il concerto ha riportato alla luce tanti fenomeni anni novanta tra cui gli studenti fuori sede, tipologia sempre più rara a causa del caro affitti che costringe molte e molti a iscriversi nelle facoltà delle proprie città o regioni, e in mezzo alla folla si sentivano tanti accenti. L’altra cosa anni novanta è un genere cantautorale molto suonato, collaudato da infiniti pensieri e scelte formali negli studi di registrazione, nei viaggi e nei sottoscala, che però nel live può vivere di fragilità e debolezze: è divertente quando sul palco prendono in giro Silvestri che non riesce a eseguire alla perfezione l’arrangiamento di Il solito sesso di Gazzè, e lui imputa il problema a una canzone che esclude solo un paio di accordi dalla gamma possibile. In mezzo alla scaletta ci sono canzoni che provano a fare un po’ tutto, dall’esistenzialismo filosofico alla pedagogia morale, dal disimpegno da auletta occupata dell’università alla festa pronta nella segreteria di partito una sera che non si sa se il voto è andato bene o male. Romantici e così fuori moda da fare il giro – come dimostra il fatto che nel pubblico non c’erano solo genitori e sopravvissuti, ma ragazzini nati ben oltre l’apice della popolarità dei tre –, Fabi, Silvestri e Gazzè hanno un merito indiscutibile: hanno scritto buone canzoni siglate nel tempo, nostalgiche senza essere vecchie. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati