Strattonata tra Italia e Stati Uniti da quarant’anni, la frizione tra i due paesi si è fatta più acuta per due fenomeni che non avrei mai dovuto mettere a confronto, malgrado il loro massimalismo circense: il Super Bowl e il festival di Sanremo (di solito lo commento a cose fatte, ma non credo ci saranno sorprese). Da una parte un halftime show gestito con acume da Kendrick Lamar, che trasforma il dissing verso Drake in un fatto quasi morale – oltre che di grande valore commerciale – mettendo su uno show che tematizza la strumentalizzazione dei corpi neri a vantaggio dello spettacolo, e lo fa davanti a Trump. Quando Serena Williams fa la crip walk (riferimento al balletto della gang dei Crips di Compton, ma anche a Henry “Crip” Heard, ballerino degli anni quaranta con una gamba sola) è per vendicarsi di chi le diceva di stare al suo posto, che bisogna festeggiare le vittorie con educazione. Proiettandoci da questa parte, sarebbe come immaginare Ghali e Dargen D’Amico che tornano in prima serata a ricordare come sono stati criticati per aver portato il genocidio di Gaza a Sanremo, che quest’anno archivia la questione come se fosse una guerra da sussidiario in cui basta desiderare la pace, affidandosi alle voci non indimenticabili di Noa e Mira Awad su Imagine. Il problema di Sanremo 2025 è proprio di ascolto e immaginazione: tantissima Mamma Roma via Califano e stornellatori sotto il bancone, Elodie che dal modello Beyoncé è diventata Anna Oxa, Blanco che scrive i pezzi dal suo futuro irriconoscibile e stanco. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1601 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati