In cerca di colpevoli per nascondere i drammatici errori provocati dalla sua politica, Israele si accanisce da mesi contro le Nazioni Unite, e in particolare contro l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Il 28 ottobre la knesset, il parlamento, si è unita a quest’operazione di demolizione, vietando le attività dell’agenzia in Israele entro novanta giorni. Una decisione simile sarebbe già sconcertante in tempi normali. Mentre Gaza, bombardata da più di un anno al prezzo di decine di migliaia di morti tra i civili e di distruzioni, si trova sull’orlo del collasso umanitario, il voto prende di mira un soggetto fondamentale nella distribuzione di aiuti, aggiungendo vergogna allo scandalo. Lo dimostra l’ondata di proteste internazionali.
La credibilità dell’Unrwa è stata pesantemente incrinata dal fatto che una decina di suoi dipendenti, che sono migliaia, potrebbe aver avuto un ruolo negli attacchi di Hamas contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023. Ma un’inchiesta internazionale realizzata dall’ex ministra degli esteri francese Catherine Colonna ha smentito le accuse di infiltrazioni consistenti di Hamas nell’agenzia, mai documentate fino a oggi, concludendo che la deriva dei singoli non può trascinare con sé un’agenzia che continua a essere “insostituibile”. Il rapporto è stato considerato abbastanza solido, tanto che i principali donatori continuano a finanziare l’Unrwa. La logica non sfugge a nessuno. Israele si accanisce contro l’agenzia per far sparire uno dei principali punti di contenzioso di un conflitto diventato secolare: la sorte dei rifugiati palestinesi.
L’attacco alle Nazioni Unite non si limita, purtroppo, all’Unrwa. Il suo segretario generale, António Guterres, è stato dichiarato persona non grata in Israele. Nel sud del Libano, inoltre, si sono moltiplicati i tentativi d’intimidazione contro la Forza d’interposizione (Unifil). Vendicarsi in questo modo con l’Onu non sottrarrà Israele dall’impasse della sua strategia fatta di massicce rappresaglie contro una striscia di terra abbandonata alla carneficina. Lo testimoniano le nuove operazioni militari nel nord di Gaza, dove la vita di decine di migliaia di civili palestinesi è nuovamente appesa a un filo, nell’indifferenza generale. L’incapacità del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu d’immaginare un ritorno alla calma a Gaza, che permetterebbe la liberazione degli ostaggi israeliani, non fa che perpetuare la guerra e i suoi orrori. ◆ fdl