L’israeliana Rutu Modan realizza un vero pezzo di bravura con questa commedia e s’inserisce in una corrente che il cinema del suo paese sta esplorando da qualche tempo: quella di narrazioni surreali e paradossali, dove non mancano umorismo (nero) e ironia (da Foxtrot. La danza del destino di Samuel Maoz a Il ginocchio di Ahed di Nadav Lapid, premiato all’ultimo festival di Cannes), per meglio evidenziare l’assurdo della realtà. Racconto corale su una sorta di famiglia di archeologi allargata, Tunnel impernia la narrazione sul triste muro divisorio tra israeliani e palestinesi e sull’arca dell’alleanza che si troverebbe sotto al muro. Uno degli intenti della “famiglia” è quello d’impedire che i palestinesi se ne impossessino. In modo sotterraneo, è il termine corretto, Modan fa una radiografia della società, delinea con precisione caratteri umani sia locali sia universali, e fa notare che basterebbe forse poco per far convivere pacificamente le due fazioni. Le influenze visive e narrative, della linea chiara di Hergé, hanno ormai prodotto una grande autrice del tutto autonoma. E se qui si pensa ai sotterranei e ai colori luminosi del Mistero della Grande Piramide di un altro maestro della linea chiara, Edgar P. Jacobs, il tunnel senza uscita in cui sembrano essere rinchiusi israeliani e palestinesi Rutu Modan lo muta in un’opera luminosa come l’estate, presagio di speranza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati