“Mio padre era superfluo, mia madre era bilingue, mio nonno era autentico e io sono ambiguo, mia sorella era paradossale, mio cugino era limitrofo, mio zio era polivalente e io sono… ambiguo!”. L’ambiguità è l’elemento strutturale di Paulette, ed è resa palese da Joseph, un vecchio scorbutico mutato in una giovane e bellissima donna che affianca l’ingenua Paulette. Joseph, con Paulette testimone, si trova in anticipo a vivere la questione oggi dominante dell’incertezza dei generi, dell’identità sessuale, in una folle sarabanda carnevalesca in cui sfilano tutte le crisi dell’epoca che riecheggiano quelle di oggi. Negli anni settanta della liberazione sessuale un maestro della satira come Georges Wolinski scrive una rivisitazione cialtrona e insieme potente del feuilleton picaresco in chiave erotica e ironica, affidandosi ai disegni del geniale Georges Pichard. E lavora molto sul linguaggio. Un buon esempio è la citazione in apertura. Va salutata la nuova versione di Ranieri Carano, traduttore principe, ma anche intellettuale e saggista della rivista Linus, che mantiene alcune delle scelte più forti. Insieme, i due Georges hanno lavorato sull’affiancamento iconoclasta di raffinatezze visive ottocentesche e volgarità truculenta, sulla parodia di ogni cliché con la dolcezza del segno volumetrico e sensuale di Pichard, intriso di una sorta di estasi da mondo greco sul corpo femminile. Il ritorno di un classico degli anni settanta.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati