Lo sceneggiatore Alessandro Bilotta, cresciuto in Bonelli e tra gli autori più interessanti del nuovo fumetto italiano, nella prefazione si dice afflitto da “sindrome dell’abbandono”, da malinconia e da mal di testa. Del sentimento perdurante di vuoto esistenziale, sotto forma di gioco beffardo, ha fatto il perno della pluripremiata serie Mercurio Loi ambientata nella Roma papalina, ammaliante e filosofica, ma dove a tratti l’angoscia esistenziale era agghiacciante (Bonelli sta riproponendo la serie in libreria). I suoi personaggi, pieni di meraviglia, sono sempre stralunati. Stralunati per meglio sopportare lo spaesamento esistenziale che pare congenito. In questo primo volume Eternity. La morte è un dandy siamo in epoca moderna, sempre a Roma, ma è impossibile dire se negli anni sessanta, settanta, ottanta o dopo il duemila. Ci sono i telefonini e la Roma delle feste vacue, quella odiata da Flaiano. Un’italietta provinciale e apparentemente piena di energia, che in verità è un mondo decadente come il suo protagonista, Alceste Santacroce, giornalista di una testata di gossip, L’infinito, che crolla giù nelle vendite. Al contempo, siamo come in un unico mondo spaziotemporale, sospeso. Un limbo magnifico e colorato. Perché qui tutto è sogno, anzi trasognato: gli autori trasfigurano il limbo senza futuro in cui l’Italia sembra imprigionata in un mondo magico. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati