Su Pompei Alberto Angela (RaiUno) ha fatto una cosa che può apparire azzardata, ma in realtà è così ben organizzata da risultare un nuovo genere: raccontare l’arte con un lungo piano sequenza senza stacchi né digressioni per più di due ore, come quando seguiamo la guida turistica mentre indica un dettaglio, visualizza ciò che è scomparso e altre meraviglie con una sapienza che è come se ci trovassimo in quell’ottobre del 79 dC con la città scombussolata dai terremoti e da una crisi idrica che preannuncia la tragedia e sentiamo i suoni, il vociare di una Pompei affollata in campagna elettorale con i candidati sindaco che erano ex schiavi arricchiti, gli slogan a decorare via dell’Abbondanza con intorno archeologi che riportano in superficie ciò che cenere e lapilli sommersero, un braccio che chiede aiuto, una donna che cerca aria, i disegni di un bambino che ha tratteggiato la propria mano e un combattimento tra gladiatori, e la telecamera entra ed esce dalle stanze e imbocca strade gira intorno alle fontane e attraversa negozi e va incontro ad Angela che parla camminando e non potendosi fermare ha il fiatone, e l’affanno da lavoro è un po’ la cifra di questo esperimento televisivo frutto di un perfetto gioco di squadra tra tecnici e autori che restituisce l’unicità di Pompei, l’arte e la sua tragedia, “la carezza e lo schiaffo”, come dice Angela, felice al termine di poter mettere un punto e riprendere fiato. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati