Una decina di persone uccise, migliaia di feriti, ospedali presi d’assalto. È il terribile bilancio dell’esplosione simultanea avvenuta in varie zone del Libano, e perfino in Siria, dei cercapersone usati dai militanti di Hezbollah. Per i proprietari di questi apparecchi, ma anche per gli sfortunati che si trovavano nelle vicinanze, l’alternativa era una ferita profonda o la morte: il tutto innescato da remoto con un pulsante (il giorno dopo un’altra serie di esplosioni di walkie-talkie ha ucciso nove persone e ne ha ferite più di cento).

Più che dimostrare la sua superiorità tecnologica, con l’azione del 17 settembre Israele ha aggiunto un importante trofeo al suo curriculum terroristico. Come succede del resto a Gaza, non si preoccupa delle vittime collaterali negli attentati contro i miliziani. E se, sul piano della guerra psicologica, l’operazione colpisce non poco l’immaginario, l’episodio apre anche molti interrogativi. Il primo ha a che fare con la monumentale falla di sicurezza all’interno di Hezbollah. Gli esperti sembrano escludere che siano state fatte esplodere a comando le batterie al litio; questo vuol dire che i cercapersone sono stati manomessi? E in tal caso, è successo prima o dopo la consegna?

È ancora più inquietante il contesto politico-militare in cui è avvenuta questa sanguinosa follia collettiva. Il giorno prima Benjamin Netanyahu aveva aggiornato la lista dei suoi obiettivi di guerra, inserendo il ritorno a casa degli abitanti del nord di Israele, allontanati a causa degli scontri al confine con il Libano. All’inviato statunitense Amos Hochstein ha comunicato che il ritorno non sarà possibile senza un cambiamento radicale della situazione alla frontiera e il ministro della difesa Yoav Gallant ha affermato che l’azione militare è l’unico modo per garantire quel risultato.

In disaccordo sulla gestione della guerra a Gaza e sulla liberazione degli ostaggi di Hamas, Netanyahu e Gallant hanno dunque scelto il Libano come terreno d’intesa? Scartata l’ipotesi di un’operazione su vasta scala, che rischierebbe di infiammare la regione, i due rivali hanno forse ripiegato sull’opzione di una zona cuscinetto nel Libano meridionale, libera dalla presenza di Hezbollah? Per arrivare a questa soluzione, non sarebbe stata preferibile la diplomazia? Hezbollah è una stanza di vetro in una casa libanese fatta dello stesso vulnerabile materiale: è questo per ora il messaggio arrivato dai cercapersone. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati