L’Indonesia è uno dei paesi asiatici che più ama il calcio, ma questa passione si accompagna a un lungo elenco di tragedie. La strage del 1 ottobre allo stadio Kanjuruhan di Malang, nella parte orientale dell’isola di Java, è la più grave nella storia sportiva del paese. Nel tentativo di fuggire dai gas lacrimogeni lanciati dalla polizia, 125 persone sono morte schiacciate dalla calca e 323 sono rimaste ferite. Gli agenti hanno puntato il dito contro le uscite dello stadio, troppo strette, ma le associazioni di tifosi e organizzazioni come Amnesty international hanno denunciato l’uso ingiustificato dei gas lacrimogeni.
Chiunque abbia assistito a una partita in Indonesia sa che l’esperienza può essere entusiasmante e terrificante al tempo stesso. Forse è per questo che le prime notizie da Malang parlavano di scontri tra tifoserie rivali. Questa volta però alla partita erano presenti solo i tifosi dell’Arema, la squadra di casa. Quelli del Persebaya Surabaya, la squadra ospite, non erano stati ammessi allo stadio proprio per impedire le violenze.
In Indonesia le squadre in trasferta a volte sono accompagnate agli impianti sportivi da veicoli corazzati e armati. Nel 2019 la nazionale malesiana ha chiesto la scorta per raggiungere lo stato di Jakarta, dove si disputava una partita di qualificazione ai Mondiali.
La violenza non è rara. Tra il 1994 e il 2019 in Indonesia almeno 74 persone hanno perso la vita in eventi legati al calcio. Più volte gruppi di tifosi come i Jakmania (sostenitori del Persija Jakarta), con centinaia di migliaia di tesserati, si sono uniti per dire basta. Per esempio nel 2018, quando il campionato è stato sospeso dopo che Haringga Zirila, un tifoso del Persija era stato picchiato a morte dai sostenitori del Persib Bandung, acerrimi rivali del Persija. Due anni prima un tifoso di diciassette anni del Persib, Muhammad Rovi Arrahman, era stato ucciso dai tifosi di Jakarta.
Un problema cronico
Le autorità hanno difficoltà a gestire queste situazioni, spesso per un misto di corruzione e incompetenza. La popolarità del calcio ha attirato dirigenti disinteressati allo sport, che lo sfruttano per il loro tornaconto personale. Nel 2007 Nurdin Halid, presidente della Federazione calcio indonesiana, finì in carcere per corruzione, ma in quel periodo mantenne l’incarico. Nel 2011 la Fifa lo bandì mentre correva per il terzo mandato, ma la guerra per il potere fu così aspra da portare alla formazione di due campionati, due federazioni e due nazionali rivali. A quel punto, nel 2015, la Fifa escluse il paese dalle competizioni internazionali.
Anche in seguito, con il ritiro della sospensione, le cose non sono cambiate. Per i tifosi, le autorità non pianificano e non fanno abbastanza per gestire le folle di tifosi. Il sovraffollamento è comune: il 1 ottobre a Malang sono stati emessi 42mila biglietti, a fronte di una capienza massima di 38mila posti. Inoltre chi resta senza biglietto a volte riesce a entrare perché la sicurezza chiude un occhio.
Succede anche in occasione di partite internazionali. Durante la coppa d’Asia del 2007 furono venduti 88mila biglietti per la partita tra Indonesia e Arabia Saudita. Il Gelora Bung Karno stadium, con una capienza di 77mila posti, era strapieno già prima che altre migliaia di persone riuscissero a entrare, occupando scale e passerelle.
I tifosi dicono che la polizia ha l’abitudine di colpire prima e fare domande poi. Nel 2016 gli agenti sono stati accusati dell’uccisione di Muhammad Fahreza, sedici anni, durante una partita tra il Persija e il Parsela Lamongan. In migliaia hanno partecipato alla veglia per il ragazzo, mostrando cartelli in cui chiedevano di mettere fine alla violenza degli agenti.
I gas lacrimogeni, comunque, sono un’altra storia. La strage di Malang è avvenuta in un momento in cui dal paese arrivavano notizie incoraggianti.
A giugno la nazionale, che da sempre ha scarsi risultati nonostante la passione per il calcio degli indonesiani, si è qualificata per la coppa d’Asia del 2023 e si presenterà su un palcoscenico continentale per la prima volta dal 2007, grazie a una straordinaria vittoria contro il Kuwait.
L’anno prossimo l’Indonesia dovrebbe ospitare i Mondiali di calcio under venti. L’evento è stato salutato come un enorme passo avanti per lo sviluppo del paese: sono già stati stanziati fondi consistenti, e in molti ritengono che l’occasione aiuterà l’Indonesia a coronare il sogno di diventare il “Brasile dell’Asia”. Non solo per passione e colori, ma anche in termini di capacità tecniche. Al momento ci sono problemi più gravi, ma qualcuno ha già espresso il timore che la strage del 1 ottobre possa spingere la Fifa a spostare i Mondiali altrove.
Aspettando le indagini
Il presidente indonesiano Joko Widodo ha ordinato di fermare il campionato finché non ci sarà un’indagine per stabilire i fatti e non sarà valutata la sicurezza in cui si giocano le partite. “Mi rammarico per questa tragedia”, ha detto. “E spero che sia l’ultima legata al calcio”.
Forse questa tragica perdita di vite umane imporrà un vero cambiamento. Nel governo, nelle federazioni sportive e nelle forze di sicurezza, oltre che nei tifosi. Oggi però tutto il paese è in lutto. ◆ gim
◆ Il regolamento sulla sicurezza negli stadi della Fifa, la federazione internazionale che governa il calcio, vieta l’uso di gas lacrimogeni in caso di disordini. Negli impianti sportivi agenti e addetti alla scurezza non dovrebbero neanche averli in dotazione. Ma la direttiva non sempre è rispettata, scrive il Washington Post, elencando le stragi negli stadi provocate dall’uso di lacrimogeni della polizia. Con dinamiche simili ai fatti di Malang, nel 2001 in uno stadio in Ghana morirono 120 persone. In Perù, durante le qualificazioni per le Olimpiadi del 1964, le vittime furono più di trecento.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati