Haftom Hailay, un anno e mezzo, è troppo debole per piangere. Il bimbo, tre chili di peso, riesce solo a sospirare per il dolore. La madre, a sua volta malnutrita, non ha latte per lui. Nel loro villaggio, Aragure, a est di Mekelle (il capoluogo del Tigrai), c’è una disperata necessità di viveri. “È finito tutto un mese fa”, dice la madre del bambino, Girmanesh Meles, trent’anni. A più di dieci mesi dall’inizio del conflitto, la carestia – che all’inizio di luglio toccava solo alcune aree rurali del Tigrai – ha raggiunto le porte di Mekelle. “È normale non mangiare, anche per quattro giorni di fila”, dice la donna, che sopravviveva con quel poco che le regalavano i suoi familiari. “Ho aspettato due settimane sperando che qualcuno ci aiutasse. Ma eravamo tutti nella stessa situazione”. Preoccupata per il figlio, Girmanesh l’11 settembre è partita a piedi per raggiungere l’ospedale Ayder Referral di Mekelle. Negli ultimi due mesi l’ospedale ha preso in carico sessanta bambini affetti da malnutrizione acuta. Sei sono morti.
Nel Tigrai la crisi umanitaria sta peggiorando. Secondo le Nazioni Unite la carestia colpisce 400mila persone. Altre 1,8 milioni ci sono molto vicine. La regione di sei milioni di abitanti resta isolata. Grant Leaity, il coordinatore Onu dell’emergenza in Etiopia, dice che un minimo di cento camion di aiuti dovrebbero entrare nella regione ogni giorno, ma l’accesso è difficile. Alla fine di agosto il World food programme aveva fatto sapere che dei 12.445 camion che aveva mandato nella regione, ne erano tornati indietro 38. Le autorità di Addis Abeba e quelle tigrine si rimpallano la colpa del blocco dei convogli. Negli ultimi due mesi solo il 10 per cento degli aiuti è entrato nella regione. Intanto le banche del Tigrai sono tagliate fuori dal circuito nazionale e non possono ricevere le rimesse. Senza contare che da novembre scorso migliaia di persone si sono riversate a Mekelle dalle campagne. I viveri sono drammaticamente insufficienti anche per loro. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati