L a Georgia ha accolto molti cittadini dell’Azerbaigian che cercavano rifugio dal regime autoritario di Baku. Di recente però l’idea che la Georgia sia un rifugio democratico è diventata molto meno credibile. La società civile georgiana cerca di sostenere chi è vittima di persecuzioni, ma forse l’Azerbaigian, un paese ricco di risorse petrolifere, sfrutta il suo potere per attaccare i diritti civili del paese confinante.

La storia del giornalista azero Afgan Mukhtarli ne è un esempio. Mukhtarli si era rifugiato a Tbilisi per mettersi al sicuro, ma si è trovato impigliato in una rete d’intrighi politici internazionali. Oggi, dopo aver passato quasi quattro anni in prigione, chiede che si faccia luce sulla sua vicenda. È convinto che le alte sfere dello stato georgiano siano responsabili di quello che gli è successo.

Fino al 2015 le inchieste giornalistiche di Mukhtarli – che lavorava soprattutto per due testate non profit, Meydan Tv e l’Institute for war & peace reporting – si erano concentrate sul regime del presidente azero Ilham Aliev e sulla corruzione nel paese. Perseguitato dalle autorità azere, è stato costretto a trasferirsi insieme alla sua famiglia in Georgia, dove ha continuato a scrivere articoli sulle vittorie scontate del Partito del nuovo Azerbaigian, guidato da Iliev, sulle intimidazioni contro le voci critiche e su fenomeni preoccupanti come l’aumento dei suicidi. Ha anche organizzato delle proteste fuori dall’ambasciata azera a Tbilisi e si è occupato dei problemi degli altri attivisti del suo paese che vivono in Georgia.

Il 29 maggio 2017 Mukhtarli è stato sequestrato in una strada di Tbilisi e trasferito con la forza in Azerbaigian, dov’è stato incarcerato. Nel gennaio 2018 l’hanno condannato a sei anni di prigione per aver fatto resistenza all’arresto, aver attraversato il confine illegalmente e per aver portato oltre la frontiera diecimila dollari.

L’avvocato di Mukhtarli, Archil Chopikashvili, ha dichiarato che il suo cliente era stato rapito da uomini in uniforme della polizia georgiana, spinto dentro un’automobile, picchiato e condotto al confine con l’Azerbaigian, dove gli avevano messo in tasca i diecimila dollari. Due giorni dopo l’allora presidente georgiano, Giorgi Margvelashvili, ha invitato le autorità a indagare sull’incidente, affermando che la scomparsa di una persona dal territorio georgiano era un affronto alla sovranità dello stato.

La sua famiglia non aveva niente da spartire con i movimenti del ’68 che stavano trasformando la Germania

I giornalisti georgiani e internazionali hanno richiesto il rilascio immediato di Mukhtarli e il parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul suo caso. Mukhtarli sostiene che grazie alla pressione internazionale le autorità azere hanno ordinato la sua scarcerazione anticipata nel marzo 2020. L’incidente però ha avuto delle ripercussioni in Georgia. Nel luglio 2017 il capo della polizia di frontiera e il direttore del controspionaggio dei servizi di sicurezza sono stati licenziati, mentre l’indagine sul rapimento di Mukhtarli andava avanti.

Mukhtarli sostiene che a rendere possibile il suo rapimento è stato un accordo tra le autorità azere e quelle georgiane. Come ha affermato l’organizzazione Reporter senza frontiere, “la Georgia non ha mai fornito una spiegazione convincente sul possibile ruolo svolto dalle autorità georgiane­ nel rapimento di Mukhtarli”.

Tentativo fallito

Dopo la sua liberazione il giornalista si è trasferito in Germania, dove gli era stato concesso asilo politico mentre si trovava in prigione. Il suo primo tentativo di tornare in Georgia a ottobre è fallito quando non gli è stato permesso d’imbarcarsi su un volo Berlino-Tbilisi perché, ha detto Mukhtarli, il personale della Georgian Air­ways e dell’ambasciata georgiana hanno affermato che i suoi documenti non erano in regola. L’8 aprile è riuscito a volare a Tbilisi, dove ha tenuto una conferenza stampa, accusando di nuovo le autorità azere e quelle georgiane.

“Non mi aspetto molto dall’ufficio del procuratore generale georgiano, perché il rapimento è opera del governo georgiano”, ha dichiarato, sostenendo che sia Giorgi Kvirikashvili, primo ministro nel 2017, sia Bidzina Ivanishvili, il fondatore del partito al potere Sogno georgiano, “sapevano” del suo rapimento. “Non ho speranze, ma devo andare fino in fondo e testimoniare”, ha aggiunto durante la conferenza stampa. Il primo ministro Kvirikashvili ha definito le accuse assurde. Ivanishvili invece non ha replicato alle sue affermazioni. Chopikashvili ha dichiarato che il suo cliente sta collaborando con le indagini georgiane sul suo rapimento. Mukhtarli ha detto ai pubblici ministeri che i suoi rapitori gli avevano coperto gli occhi con del nastro adesivo e con del tessuto, prima di trasferirlo su un’altra automobile.

Dopo avere interrogato Mukhtarli, i pubblici ministeri hanno accettato la richiesta di Chopikashvili di concedere al suo cliente lo status di perseguitato, che garantisce protezione speciale per lui e per la sua famiglia. Lo stato georgiano, insieme all’Azerbaigian, potrebbe essere sanzionato per aver violato il diritto di Mukhtarli a un processo equo e per averlo detenuto in maniera impropria. Chopikashvili ha spiegato che il tribunale ha completato le udienze del caso, anche se non è ancora stata fissata una data per la sentenza.

Biografia

1974 Nasce in Azerbaigian.
2015 Si trasferisce in Georgia per sfuggire alla censura del governo di Baku.
aprile 2017 Viene rapito per strada a Tbilisi e portato con la forza in Azerbaigian, dove viene arrestato.
marzo 2020 È rilasciato in seguito alle pressioni internazionali.


Mukhtarli non è l’unico esule azero che cerca giustizia per un errore giudiziario in Georgia. Nell’aprile 2017 Jamal Ali, un musicista e produttore azero di Meydan Tv, è arrivato all’aeroporto internazionale di Tbilisi per partecipare ad alcuni incontri in città, ma non è stato autorizzato a entrare nel territorio georgiano. Ali, che vive a Berlino dopo aver passato dieci giorni in un carcere azero nel 2012 per “teppismo”, ha pubblicato spesso articoli e video in cui critica il governo di Baku. Ali è convinto che nel 2012 è stato scarcerato rapidamente solo perché Baku si preparava a ospitare le finali del concorso musicale Eurovision e le autorità non volevano farsi cattiva pubblicità.

In un servizio preparato per Meydan Tv da Tblisi nel 2017, Ali si era chiesto se l’Azerbaigian stesse fornendo gas naturale a costo zero alle chiese della Georgia, quando invece alcuni villaggi azeri avevano problemi con la fornitura di gas. Il servizio aveva provocato una manifestazione in Georgia e, secondo lui, spiegherebbe perché non gli è stato permesso di rientrare nel paese.

La Georgia e l’Azerbaigian hanno firmato più di cento accordi bilaterali e multilaterali, che regolano praticamente tutti i settori in cui collaborano i due paesi. L’energia è uno dei più importanti. Il flusso è quasi completamente a senso unico, parte dai giacimenti di gas e petrolio dell’Azerbaigian verso la Georgia, e a volte oltre, raggiungendo la Turchia e i consumatori occidentali attraverso gli oleodotti Baku-Supsa e Baku-Tbilisi-Ceyhan, e al gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum.

Nonostante questo, per anni la Georgia ha accolto gli azeri in fuga dal regime. Le cose hanno cominciato a cambiare circa cinque anni fa. Dopo il rapimento di Mukhtarli, l’organizzazione per i diritti umani Social justice center ha esaminato i casi di giornalisti, attivisti e politici azeri che vivono in Georgia. Nel suo rapporto si legge che dal 2016 “il governo georgiano si è rifiutato più volte di concedere lo status di rifugiato o il permesso di soggiorno a persone costrette all’esilio dal regime antidemocratico dell’Azerbaigian, una scelta che sembra dimostrare la fedeltà politica del governo di Tbilisi all’Azerbaigian”.

Il rapporto del Social justice center aggiunge che giornalisti e attivisti azeri stanno lasciando il paese “perché avvertono il rischio di diventare dei perseguitati. Questi fatti danneggiano profondamente il processo di costruzione della democrazia in Georgia”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati