È fine estate nel quartiere di Nakano, a Tokyo. Nei locali della Tms Entertainment, gigante della produzione di anime, sei stagisti seguiti da un istruttore disegnano in silenzio delle figure sulla carta. La formazione rientra nel quadro di un programma cominciato nel 2021, l’Accademia del disegno Tms. Ogni anno almeno cinque stagisti la frequentano per imparare le basi del disegno d’animazione. I ragazzi selezionati non pagano tasse d’iscrizione e ricevono una borsa di studio di 150mila yen al mese (circa 900 euro) per coprire le spese quotidiane.

Alla fine della formazione sono teoricamente assunti come animatori a contratto per uno stipendio di 250mila yen al mese (circa 1.500 euro), una cifra paragonabile a quella che riceve un giovane laureato al momento dell’assunzione in una grande azienda. In seguito questo primo incarico dei disegnatori può trasformarsi in un contratto a tempo indeterminato.

Formazione e assunzione

Ippei Takemura è il responsabile dell’accademia e spiega che la Tms ha creato questo programma a causa della mancanza di disegnatori, che si fa sentire sempre di più con l’aumentare delle produzioni. In passato i giovani si formavano lavorando presso dei disegnatori esperti, che però oggi sono talmente occupati da non avere più il tempo per formare degli allievi. Altre grandi case di produzione come la Toei Animation e la Bandai Namco hanno adottato negli ultimi anni un analogo sistema di formazione e assunzione.

La crescente popolarità di film e serie d’animazione giapponesi in tutto il mondo costringe le case di produzione ad aumentare il numero di disegnatori per rispondere alla domanda. Secondo l’Associazione dell’animazione giapponese ogni anno, dal 2004 al 2014, sono stati prodotti più di duecento titoli, e negli ultimi dieci anni sono sempre più di trecento. Il mercato dell’industria giapponese d’animazione rappresentava 2.900 miliardi di yen (17 miliardi di euro) nel 2022, cioè più del doppio rispetto a dieci anni prima. E la metà di questi incassi è realizzata all’estero.

Secondo l’azienda di consulenza Irj, in giappone ci sono circa seimila disegnatori nel settore dell’animazione. Ma il loro numero, invece di aumentare per rispondere alla crescente domanda, diminuisce a causa delle cattive condizioni di lavoro. Sono pochi ad avere un posto fisso, la maggioranza sono free lance disposti a lavorare a contratto per le case di produzione. L’Irj ritiene che lo stipendo medio di questi disegnatori sia di circa 1300 yen all’ora (otto euro), una cifra più bassa di quella media del settore nel suo insieme, che in genere è di 2.400 yen (14 euro).

I disegni realizzati dagli animatori si dividono in “pose chiave”, cioè le pose d’inizio e di fine di un movimento, e in “intervalli”, ovvero i disegni che collegano le due pose chiave per dare l’illusione di movimento. Il salario medio dei giovani incaricati di realizzare solo gli intervalli è di circa 700 yen (quattro euro), un valore inferiore alla paga minima.

Laureata in una scuola professionale di design, Aina Sugisawa ha pensato di rinunciare al suo sogno di diventare disegnatrice d’animazione anche a causa dei bassi stipendi. E appena ha sentito parlare dell’Accademia Tms, si è iscritta subito e ha cominciato la formazione la primavera scorsa: “Mi ha attirato soprattutto l’idea di poter essere assunta a tempo indeterminato”.

Un freelance al lavoro in casa, Tokyo (Noriko Hayashi, The New York Times/Contrasto)

Ma se le grandi aziende formano i disegnatori a loro spese, la maggioranza di produzioni piccole e medie non ha i mezzi per farlo. Così nel 2023 alcuni produttori e registi indipendenti hanno fondato la Federazione giapponese della cultura del film d’animazione, per formare i disegnatori e migliorarne le condizioni di lavoro.

L’elemento fondamentale del progetto è un “test attitudinale”, che valuta le competenze necessarie su livelli diversi. I candidati vi si preparano con l’aiuto di materiale concepito appositamente. “Sono tantissimi i disegnatori che abbandonano questo mestiere perché non hanno potuto ricevere una formazione adeguata”, spiega la segretaria generale della federazione, Ayano Fukumiya. Il progetto è destinato a incoraggiare le vocazioni di potenziali disegnatori, definendo i livelli di competenza e proponendo metodi e materiali per aumentarli. Inoltre intende impegnarsi anche per rendere più stabile la loro situazione con stipendi migliori.

Diversi fattori strutturali spiegano lo scarso livello delle paghe nel settore dell’animazione. Secondo un’analisi dell’Irj, nel 2022 le case di produzione hanno ricevuto solo il 18 per cento dei redditi prodotti dai loro anime in Giappone, e appena il 6 per cento di quelli realizzati all’estero. Il resto va agli autori delle opere originali, ma soprattutto una larga fetta si disperde nelle varie attività di pianificazione, di promozione, di diffusione e di distribuzione.

Circolo vizioso

Ma perché la percentuale dei profitti che va alle case di produzione è così bassa? Yosuke Yasui, consulente dell’Irj, ha una sua spiegazione: “Molte produzioni lavorano con scadenze a breve termine e firmano contratti al ribasso. In questo modo si chiudono in un circolo vizioso di scarsa redditività”.

Sono pratiche consolidate e per superarle Yasui ritiene che sarebbe opportuna una regolamentazione più rigida, in pratica dei paletti imposti a livello statale. Si potrebbe intervenire fin dagli ordini fatti alle case di produzione, suggerisce, obbligando chi è responsabile della pianificazione a lungo termine a stimare i costi di produzione sulla base di una giusta retribuzione dei disegnatori.

Yasui propone di introdurre delle regole che permettano alle piccole aziende di ricevere almeno il 10 per cento dei diritti di autore, anche se non investono nella creazione di opere originali, cosa che permetterebbe di ottenere introiti stabili e quindi poter garantire stipendi stabili.

Il governo, che ha messo gli anime al centro della sua strategia culturale internazionale – “Cool Japan” –, si è impegnato a migliorare le condizioni di lavoro dei disegnatori, e prevede di creare in questo autunno una commissione di concertazione pubblico-privata con esperti e rappresentanti del settore per discutere possibili misure da prendere.

Inoltre, a partire dal 2025 la commissione garante della concorrenza in Giappone comincerà a indagare sulle pratiche commerciali nell’industria del film e dell’animazione, per proporre delle misure concrete.

Il governo riuscirà a mettere in pratica i suoi propositi? La questione è tutt’altro che scontata, osserva una fonte interna dell’Agenzia per gli affari culturali (che dipende direttamente dal governo): fino a che punto l’esecutivo potrà intromettersi nelle relazioni tra privati? ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati