C’era una volta un gruppo di informatici che voleva cambiare il mondo attraverso l’intelligenza artificiale. Il loro capo, Sam Altman, diceva di essere già ricco, per questo fondava un ente non profit che puntava a sviluppare una nuova tecnologia, solo per il bene dell’umanità. Il giovane Sam si diceva pronto a farsi regolare dalla politica, per evitare l’estinzione della specie umana, e a studiare un reddito universale per chi avesse perso il lavoro per effetto dell’automazione portata dai nuovi algoritmi.
Poi la favola è finita. Oggi la OpenAi è di fatto controllata dalla Microsoft, che un anno fa ha rimesso al suo posto Altman dopo che era stato licenziato dal consiglio d’amministrazione perché inaffidabile. Uno dopo l’altro i sognatori delle origini se ne sono andati. Ora la OpenAi raccoglie investitori come ogni startup che sogna la quotazione in borsa (vale già 150 miliardi di dollari). Vuole anche dare azioni a Sam Altman, così da renderlo un oligarca digitale miliardario, simile agli altri fondatori dei colossi tecnologici.
Ma certo Altman non voleva questo, è stato spinto dagli eventi a trasformare pian piano la OpenAi in un’azienda normale. A questa favola, però, è più difficile credere. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 113. Compra questo numero | Abbonati