Dopo essere rimasto bloccato nel deserto in Algeria “senza più niente”, il 14 febbraio 2023 Uka Ifeanyi ha accettato l’offerta dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) di “reinsediarsi” nel suo paese d’origine, la Nigeria. È stato riportato in autobus a Lagos. Lì lo staff dell’Oim gli “ha chiesto di aspettare tre mesi per le procedure di accoglienza e reinsediamento. Ma da allora nessuno si è fatto sentire”, dice Ifeanyi in un’intervista telefonica.
Non se l’aspettava, perché i funzionari dell’Oim gli avevano chiesto espressamente quali erano le sue competenze e avevano annotato le sue risposte, dicendogli che l’avrebbero aiutato ad avviare una piccola attività nella sua zona di origine. “Mi avevano chiesto cosa mi sarebbe piaciuto fare e io gli ho risposto che volevo fare l’idraulico. Sono bravo: so riparare i bagni e posso occuparmi della vendita di cemento. Loro hanno annotato tutto, hanno versato a ognuno di noi cinquantamila naira (65 dollari) su una carta prepagata e ci hanno detto di andare a casa. Poi non li abbiamo più sentiti”.
Grace Onuru, anche lei rimasta bloccata in Libia, è stata aiutata dall’Oim a tornare in Nigeria nel marzo 2023. All’arrivo a Lagos, dice, “alcuni funzionari dell’organizzazione ci hanno chiesto quale settore ci interessava. Io ho studiato da infermiera e ho detto che volevo aprire un negozio di prodotti farmaceutici”. Anche Onuru ha ricevuto una carta di pagamento con 65 dollari. “Quei soldi servivano per il viaggio di ritorno alle nostre case in Nigeria. Hanno promesso di ricontattarci entro tre mesi. Ma sei mesi dopo non si era fatto sentire ancora nessuno”. Onuru dice di avere un assoluto bisogno di lavorare. “Al momento sono sola. Nessuno dei miei familiari può aiutarmi”. Di notte dorme in una scuola elementare di Abuja, ma non ha un posto dove stare.
Queste storie di disperazione e di abbandono si leggono anche in vari rapporti ufficiali, tra cui uno commissionato dall’Unione europea, che parlano di una maggioranza di migranti rimpatriati ancora alloggiati in tende, oppure scomparsi o “in condizioni peggiori di prima”.
Nel 2023 le frontiere nigeriane sono più porose che mai e il progetto sull’identità biometrica è servito solo ad arricchire varie organizzazioni
La gran parte, come Ifeanyi e Onuru, era rimasta bloccata in Nordafrica o nel Sahel prima di essere prelevata dall’Oim, che riceve dei fondi dell’Unione europea per facilitare il loro ritorno a casa. Si stima che tra uno e due milioni di migranti subsahariani si trovino nella zona settentrionale del continente: tanti sperano ancora di raggiungere l’Europa anche se sono finiti in un vicolo cieco. La percentuale di persone rinchiuse nei centri di detenzione – sfruttate sul lavoro, nei bordelli o dalle organizzazioni criminali – potrebbe perfino essere aumentata negli ultimi otto anni, perché l’Europa ha adottato politiche per trasformare i confini nordafricani in barriere fortemente sorvegliate. Dal 2015, su pressione dell’Unione europea, è stato criminalizzato il trasporto dei migranti nei paesi di transito, mentre il Fondo fiduciario europeo di emergenza per l’Africa, da sei miliardi di dollari, ha finanziato un’infrastruttura che serve a deportare i migranti irregolari nei centri di detenzione in Libia.
Referenti locali
Il governo nigeriano ha incaricato l’Agenzia nazionale per la gestione delle emergenze (Nema) di assistere l’Oim in questi progetti di rimpatrio e reinsediamento pagati con i soldi europei, ma secondo molte fonti questa collaborazione non ha dato grandi risultati. Sia il rapporto europeo sia la stessa Oim ammettono che più del 60 per cento dei nigeriani “soccorsi” con buona probabilità cercherà nuovamente di partire. Grace Osakue, di Girls power initiative, un’ong impegnata a creare opportunità in piccole imprese per chi è tornato al paese d’origine o vorrebbe emigrare, sostiene che “anche chi ha vissuto gravi difficoltà, è pronto a ripartire”.
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Tre persone rimpatriate, che negli ultimi cinque anni con l’aiuto dei progetti finanziati dall’Ue hanno avviato un allevamento ittico, un salone da parrucchiere e un’officina da saldatore ed elettricista, raccontano che la maggior parte di chi è tornato in patria insieme a loro è partito di nuovo, in alcuni casi vendendo i propri starter pack, i pacchetti di avviamento dell’impresa. Secondo uno degli intervistati l’hanno fatto “con l’aiuto dello staff dell’Oim”.
L’ufficio dell’Oim in Nigeria non ha risposto alle richieste di commenti. Osita Osemene della Patriotic citizen initiative, una delle ong coinvolte nel programma di reinsediamento, afferma che l’Oim e il governo nigeriano hanno fatto troppo poco per aiutare i migranti rimpatriati. In particolare, osserva, le autorità nigeriane non si assumono la responsabilità della sorte dei loro cittadini.
Monzo Ezekiel, portavoce della Nema, precisa che il mandato della sua organizzazione è “accogliere le persone che sono state trasferite dal Nordafrica. Le accogliamo all’arrivo, e gli diamo un sostegno finanziario per tornare alle loro città. Dargli una formazione imprenditoriale o il capitale per avviare le attività non è nostra responsabilità, ma della commissione nazionale per i rifugiati, i migranti e gli sfollati interni”. La portavoce della commissione rifugiati, Khadija Imam, non ha risposto alle domande del Daily Trust.
Ingiustizia sociale
Secondo un’inchiesta del sito olandese The Correspondent tra il 2011 e il 2019 l’Unione europea ha finanziato 47 progetti regionali di “facilitazione degli spostamenti”, per “assistere il ritorno volontario” dei migranti. In tutto sono costati 775 milioni di euro. Solo per la Nigeria sono stati spesi 68 milioni di euro. Secondo l’Oim, nel 2021 sono “tornati volontariamente nel loro paese” 3.042 nigeriani. Ma il numero di quelli che ogni anno partono per l’estero, può raggiungere, a seconda delle stime, le 85mila persone.
L’inchiesta di The Correspondent afferma che la principale voce di spesa del fondo fiduciario europeo per l’Africa è stata il controllo delle frontiere. Tra il 2011 e il 2019 sono stati destinati 250 milioni di euro allo sviluppo in Nigeria di un sistema di riconoscimento biometrico, pensato per fermare gli attraversamenti illegali dei confini. Ma nel 2023 le frontiere del paese sono più porose che mai, mentre il progetto sull’identità biometrica è servito solo ad arricchire le varie organizzazioni che lavorano con il servizio immigrazione della Nigeria.
Un sondaggio condotto dall’istituto di statistica nigeriano tra le persone rimpatriate dall’Europa rivela che, secondo gli intervistati, i flussi migratori si ridurrebbero se la Nigeria offrisse posti di lavoro, istruzione, sicurezza, infrastrutture sociali e se la lotta alla corruzione funzionasse davvero. Ejike Oji, ex consulente del governo che ha studiato la migrazione dei medici in Europa, sostiene che l’occidente “dovrebbe spostare l’attenzione dal controllo delle frontiere e spingere il governo ad affrontare la questione dell’ingiustizia sociale”. ◆ fdl, fsi
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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati