La grande eredità del primo ministro socialista portoghese António Costa, in carica dal 2015, sarà la rivoluzione energetica che ha avviato. È vero che la svolta è stata dettata dall’emergenza climatica e dalle istituzioni internazionali come la Commissione europea, ma Costa è stato uno dei primi leader a sposare la causa della tutela del clima e non perde occasione per ricordare che il Portogallo è stato tra i primi a impegnarsi ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica.
Da allora il paese ha bruciato le tappe: le centrali a carbone sono state chiuse nel 2021, due anni prima del previsto, la data prevista per arrivare a produrre l’80 per cento dell’energia da fonti rinnovabili è stata anticipata dal 2030 al 2026 e quella per azzerare le emissioni nette dal 2050 al 2045. Questa strategia non è dovuta solo all’impegno ambientalista: il governo ci ha visto un’occasione storica per superare la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e trasformare il Portogallo in un esportatore di energie rinnovabili.
Questa linea non è stata modificata dagli sconvolgimenti storici che il mondo ha subìto negli ultimi anni. Con l’aumento dei prezzi del petrolio e del gas dovuto alla guerra in Ucraina c’era chi avrebbe voluto riattivare le centrali a carbone, ma Costa ha scartato quest’ipotesi. Poi la siccità estrema del 2022 ha limitato la produzione di energia idroelettrica, complicando la situazione. Il contributo delle fonti rinnovabili è sceso al 57 per cento e le importazioni di energia sono salite al 18 per cento, quasi il doppio rispetto al 2021. Ma anche così il Portogallo “è in anticipo rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione europea per lo sviluppo delle energie rinnovabili”, spiega António Cardoso Marques, che insegna economia all’università della Beira Interior, a Covilhã.
Il balzo in avanti del Portogallo risulta evidente dalle statistiche: nel primo trimestre del 2023 il 72 per cento dell’energia prodotta nel paese proveniva da fonti rinnovabili. Secondo i dati di Eurostat il Portogallo è il quarto paese dell’Unione europea con la più bassa proporzione di emissioni per energia prodotta, dopo Austria, Svezia e Danimarca.
Secondo il ministro dell’ambiente e dell’energia Duarte Cordeiro il valore dei progetti nel settore energetico si avvicina ai 60 miliardi di euro. Con 16 gigawatt le fonti rinnovabili rappresentano già il 70 per cento della potenza installata nel paese, ma la loro irregolarità provoca scompensi nella fornitura, con picchi nei mesi di pioggia e vento e cali in estate. Per aumentare la stabilità del mercato il governo vorrebbe potenziare il fotovoltaico, che oggi rappresenta il 6 per cento del totale ed è in forte ritardo rispetto all’idroelettrico (45 per cento) e all’eolico (35 per cento). “Quest’anno assegneremo licenze per 2,5 gigawatt di energia solare. Puntiamo a superare gli 8 gigawatt entro il 2030”, spiega Cordeiro.
A gennaio l’Agenzia per l’ambiente ha concesso all’azienda spagnola Iberdrola l’autorizzazione per un parco fotovoltaico da 1.200 megawatt, il più grande d’Europa, a Santiago de Cacém, nella regione dell’Alentejo. Ma l’impianto ha suscitato le critiche degli ambientalisti. “Le sue dimensioni sono esagerate”, sostiene Francisco Ferreira, presidente dell’organizzazione ecologista Zero e professore di scienze e tecnologia all’università Nova di Lisbona. “Siamo favorevoli all’energia solare, ma i siti devono essere scelti con attenzione per evitare conflitti con gli abitanti e con l’ambiente”.
Gli ecologisti non hanno gradito neanche la decisione di semplificare i criteri per approvare i progetti per la produzione di idrogeno verde, le turbine eoliche distanti tra loro più di due chilometri e i parchi fotovoltaici da meno di cento ettari, per i quali non sarà più necessaria una valutazione di impatto ambientale. “Il governo sbaglia a dare la colpa dei ritardi alla tutela dell’ambiente invece che alla burocrazia, che è la vera causa”, dice Ferreira. Ma il ministro dell’ambiente ribatte: “Abbiamo eliminato l’obbligo in alcuni casi, ma se c’è il sospetto che i progetti siano frammentati per aggirare le norme si può richiedere comunque una valutazione”.
Insieme allo sviluppo del fotovoltaico, la grande novità di quest’anno sarà l’assegnazione di nuovi appalti per parchi eolici in mare, con l’obiettivo di raggiungere i 10 gigawatt di potenza nei prossimi anni. La selezione dei siti è ancora in corso, e gli ambientalisti contestano alcune proposte a causa delle possibili conseguenze per le aree protette.
Coinvolgere tutti
La corsa alle rinnovabili ha favorito la ricerca tecnologica, trasformando il paese in un laboratorio all’aria aperta. A luglio del 2022 l’azienda portoghese Edp ha inaugurato il più grande parco fotovoltaico galleggiante d’Europa nel lago artificiale di Alqueva, sul fiume Guadiana. L’impianto può produrre 7,5 gigawattora all’anno e dispone di batterie capaci di immagazzinare 2 megawattora.
Le strutture ibride come quella di Alqueva sono al centro della strategia del governo. Un altro esempio è la gigabatteria di Tâmega, inaugurata dalla Iberdrola nel 2022 per risolvere uno dei grandi problemi dell’energia idroelettrica: la dipendenza dalle condizioni climatiche. Grazie a un sistema di pompaggio tra i bacini, il complesso di Tâmega (che comprende tre centrali idroelettriche e due parchi eolici) permette di “fornire elettricità all’area metropolitana di Porto 24 ore su 24”, spiega Julio Castro della Iberdrola. “Nelle ore di minor consumo l’energia in eccesso viene usata per riportare l’acqua dal bacino inferiore a quello superiore. In quelle di picco, invece, l’acqua viene convogliata nelle turbine per produrre elettricità. L’energia così immagazzinata non è soggetta ai rischi legati all’importazione di combustibili fossili. È la soluzione migliore in caso di crisi”.
Il sostegno dei cittadini a questa rivoluzione però è ancora incerto. Secondo Cardoso Marques la transizione avrà successo solo se si rafforzerà il ruolo dei consumatori. Questo significa incentivare l’autoconsumo e le comunità per la produzione di energia rinnovabile, ancora poco diffuse in Portogallo, oltre a favorire la mobilità elettrica e le tariffe differenziate in base alle fasce orarie. Il professore sottolinea che la transizione energetica pesa notevolmente sulle famiglie a causa delle tasse e dei costi elevati: “Il processo dev’essere inclusivo e tutti i cittadini e le aziende devono poterne cogliere i benefici. È fondamentale che la transizione sia condivisa”. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati