I l primo segnale che il premier Benjamin Netanyahu ha perso la testa è arrivato la mattina del 1 settembre, quando il consiglio dei ministri è stato annullato. Questa decisione ha fatto tornare alla mente il silenzio di Netanyahu subito dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Da allora le prove della sua totale incapacità si sono accumulate, facendo sospettare che, sotto pressione, Netanyahu semplicemente non funzioni. E quando poi riprende a parlare, tornano anche il trucco pesante, gli slogan vuoti e la malvagità: in altre parole, il bugiardo e il ciarlatano.
“Chiunque uccida un ostaggio non vuole un accordo”, ha detto. Come al solito, per convincere la sua base gli è bastato presentare una controargomentazione con una parvenza di logica interna. La macchina del veleno fa il resto.
Il secondo segnale del suo panico si è visto più tardi nella giornata, quando l’ufficio del primo ministro ha rilasciato un comunicato sulla telefonata fatta da Netanyahu ai familiari di Alexander Lobanov, uno dei sei ostaggi uccisi. Nella telefonata avrebbe usato parole che non ci saremmo mai aspettati: il primo ministro si è “scusato” e ha “chiesto perdono” per non essere riuscito a riportare a casa Lobanov.
Almeno 27 ostaggi sono stati uccisi da Hamas o dal fuoco israeliano dopo l’unica tregua di nove mesi fa. Eppure, mai prima d’ora Netanyahu aveva ritenuto opportuno dire qualcosa che potesse alludere a una sua responsabilità per la sorte di quegli esseri umani fatti prigionieri da Hamas a causa dei suoi errori. I sostenitori del premier possono stare tranquilli: non si tratta di un miracolo. Quest’uomo spietato, cinico e sordo non si è ammorbidito, non è diventato umano da un giorno all’altro. Ma il suo sismografo politico è ancora sensibile e ha percepito dei movimenti significativi.
Ci sono state manifestazioni in tutto il paese. La federazione sindacale Histadrut ha convocato uno sciopero generale. Alcuni negozi hanno abbassato spontaneamente le saracinesche rinunciando alle vendite. Il momento tanto temuto da Netanyahu – quando il dolore diventerà rabbia, lo sfinimento lascerà il posto al dinamismo, l’apatia e la “normalità” svaniranno e le strade saranno di nuovo in fiamme – sembra più vicino che mai. E questa è l’ultima cosa di cui ha bisogno.
Iniziative drastiche
Da qui nasce l’urgente bisogno di rinnovare il suo lessico. Ha dovuto esprimere emozione, pronunciare quella parola che prima era tabù. Ma in lui non c’è niente di autentico. Tutto è pianificato, studiato, disgustosamente trasparente. E tutte le sue chiacchiere vuote sono state sommerse dal mare di grida, proteste e lacrime che ha travolto il paese. La manifestazione del 1 settembre è stata imponente. Lo sciopero generale parziale si è smorzato nel corso della giornata. Netanyahu si dirà: “Sono sopravvissuto. Andrò avanti”. Ma non possiamo permetterglielo.
Questo è il momento delle iniziative drastiche. Le famiglie degli ostaggi e gli attivisti sono pronti. Hanno smesso di credere a questo leader crudele. Tuttavia, da soli non potranno influenzare il corso degli eventi. Se la protesta del 1 settembre resterà un evento singolo, questo esecutivo sanguinario resterà in sella.
Eppure, è difficile conservare la speranza. La rabbia dell’opinione pubblica e le pressioni statunitensi non basteranno a costringere Netanyahu a concludere un accordo, perché la sua sopravvivenza personale e politica è mille volte più importante della vita degli ostaggi.
Il ministro della difesa Yoav Gallant è sull’orlo di un precipizio. Il suo appello ai colleghi di governo, ripetuto la sera del 1 settembre, di mettere al primo posto la vita degli ostaggi è rimasto inascoltato da questo manipolo di cinici. La gravità della situazione è più che evidente. L’esercito e il ministro della difesa chiedono un accordo sugli ostaggi e un cessate il fuoco, e non per debolezza, ma per motivi di razionalità, responsabilità, valori e umanità. Il leader si rifiuta, seguito dal branco di incapaci che compone l’esecutivo più insensibile e irresponsabile nella storia del paese. Sanno che la formula che hanno contribuito a spacciare all’opinione pubblica è ormai cambiata da tempo: la pressione militare non salverà gli ostaggi, li sta uccidendo. Ma per loro non è un problema, ne troveranno un’altra.
In carne e ossa
In Israele oggi ci sono due governi: uno professionale, sano, e un altro composto da Netanyahu e dagli altri drogati di potere, politico e autoreferenziale. Il problema è che sarà quest’ultimo a prendere le decisioni, e lì c’è solo Gallant a rappresentare il primo. Il governo attuale non approverà mai un accordo. Già la sera del 1 settembre tutti i politici rappresentanti della banda criminale hanno cominciato a criticare le proteste, definendo di sinistra Arnon Ben-David, il leader sindacale più filogovernativo di sempre. C’era da aspettarsi questo tentativo semplificatorio di rifugiarsi nel “noi contro di loro”. Le stesse persone che hanno cercato di uccidere la democrazia israeliana, senza farcela, ora tentano di causare la morte di esseri umani in carne e ossa. E ci stanno riuscendo.
Nel discorso al congresso statunitense, accompagnato dal suo arrogante sorriso, Netanyahu ha sfoderato una battuta trita e ritrita che circola online dall’inizio della guerra. Guardare i manifestanti lgbt+ a sostegno di Hamas, ha detto, è come vedere dei polli schierarsi in favore del Kentucky fried chicken. Nella stessa logica, si potrebbe affermare che assistere al discorso di Netanyahu di quel giorno è stato come vedere l’amministratore delegato del McDonald’s proclamare la sacralità della vita delle mucche. ◆ fdl
Questo articolo è uscitosul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati