Qualche settimana fa Ben Saul-Garner, 33 anni, ha pagato 3.700 dollari (3.388 euro) per essere abbandonato su un’isola remota dell’Indonesia. L’imprenditore ha viaggiato da Londra a Jakarta. Da lì ha preso un altro volo per un aeroporto regionale dove lo aspettava un’auto che lo ha portato fino a un molo. Poi per novanta minuti ha navigato nell’oceano a bordo di un motoscafo sgangherato per raggiungere un pezzo di terra disabitato coperto di palme e da una densa boscaglia. Il motoscafo l’ha lasciato lì e se n’è andato. Saul-Garner è rimasto sull’isola, da solo, per dieci giorni quasi senza risorse.
Ha dormito su un’amaca e mangiato noci di cocco e granchi. Ha trascorso le sue giornate raccogliendo legna per il fuoco. “Ti rendi conto di quanto tempo ci sia in una giornata quando non hai distrazioni”, ha raccontato. “Essere circondato dalla natura è una sensazione primordiale, fantastica”. Saul-Garner ha prenotato il viaggio con la Docastaway, un’agenzia che consente di vivere esperienze di isolamento estremo.
È stata fondata nel 2010 da Alvaro Cerezo, da sempre amante dei viaggi. Da bambino Cerezo, che abita a Malaga, in Spagna, trascorreva l’estate esplorando spiagge rocciose e baie nascoste del mare d’Alborán (la porzione di Mediterraneo tra Spagna e Marocco). A otto anni si avventurava già al largo su un canotto. “Ho sempre sognato di superare l’orizzonte”, racconta. “Sapevo che appena fossi stato libero avrei voluto esplorare il mondo”. Cerezo, figlio di un ingegnere e di una dipendente statale, ha studiato economia, ma appena poteva andava in Asia e spendeva i suoi risparmi per farsi portare da un peschereccio verso isole remote.
Le isole sono diventate la sua ossessione. Negli anni ha imparato a conoscere bene gli arcipelaghi delle Filippine, della Polinesia e della Micronesia. Dopo la laurea ha cominciato a chiedersi se poteva guadagnarsi da vivere con il suo hobby.
“Avrei voluto esplorare isole remote ogni giorno della mia vita”, spiega. “Non sapevo se c’erano altre persone che desideravano la stessa cosa, ma ho deciso che valeva la pena scoprirlo”.
Remota ma non troppo
L’agenzia Docastaway (una combinazione delle parole do, fare, e castaway, naufrago) propone ai clienti una fuga dal caos digitale della nostra epoca. Quando Cerezo ha avviato l’attività l’interesse per il turismo estremo stava aumentando grazie a programmi televisivi come Uomo vs. natura e Il sopravvissuto, oltre a un numero sempre maggiore di canali YouTube dedicati alle tecniche di sopravvivenza nella natura: trovare da mangiare, costruire un riparo e accendere un fuoco.
Se qualcuno vuole mettersi alla prova, il modo migliore per farlo è farsi abbandonare su un’isola senza viveri né acqua né un tetto.
I primi clienti di Cerezo sono stati gli amici, che l’hanno seguito in una serie di spedizioni di prova nelle sue isole deserte preferite. Da quel momento, anno dopo anno, viaggiatori di tutto il mondo hanno scoperto la Docastaway. “Non esisteva nessuna agenzia simile. Le persone cercavano su internet ‘viaggio su isola deserta’ e trovavano me”, racconta. “Le richieste sono aumentate progressivamente, fino a quando ho dovuto migliorare il servizio”.
A volte i clienti si arrendono prima della fine del viaggio, di solito a causa delle scottature, della paura o della noia
Migliorare il servizio significava trovare le isole perfette. Cerezo ha capito presto che i clienti non volevano andare troppo lontano per vivere questa esperienza. Degli otto-dieci giorni di vacanza non voleva dedicarne più di due agli spostamenti. “L’isola ideale doveva essere remota o isolata, ma non troppo”, spiega l’agente di viaggio.
Oggi sa che per trasportare turisti stranieri in territori selvaggi bisogna saper ungere gli ingranaggi giusti e non essere troppo ostili ai piccoli atti di corruzione. Quando trova l’isola perfetta, la raggiunge in aereo e incontra i proprietari e le autorità per avviare una trattativa. “Le mazzette sono importanti”, ammette. “Tutti vogliono una fetta della torta”. La procedura è quasi sempre la stessa: il proprietario dell’isola (un governo o un privato) riceve dai cento ai 150 dollari per affittarla per qualche giorno. La polizia è pagata per evitare gli episodi di pirateria e i furti. I funzionari locali sono pagati per fare in modo che i pescherecci e altre imbarcazioni non attracchino sull’isola quando c’è un cliente.
Il costo di queste mazzette, tra mance e pagamenti vari è di circa trecento dollari per ogni viaggio. “Quasi tutte le isole che ho scelto non hanno mai visto un turista, quindi i proprietari sono ben felici di incassare qualcosa in cambio dell’autorizzazione a starci per qualche giorno”. Garantire ai clienti l’illusione della completa solitudine è più difficile di quanto si possa immaginare, perché anche nelle isole più remote del pianeta l’isolamento dev’essere creato artificialmente.
Cerezo deve assicurarsi che i pescherecci non si avvicinino troppo all’isola, per non farsi vedere dai suoi clienti. Per riuscirci bisogna allestire una squadra di supporto su un’isola vicina che “intercetti” (pagando) qualsiasi imbarcazione che viaggia sulla rotta sbagliata. Inoltre, prima dello sbarco del cliente, l’isola dev’essere ripulita per darle un aspetto immacolato. Non è facile, visto che spesso quelle in mezzo all’oceano sono calamite per la spazzatura. Solo una su venti soddisfa i criteri di isolamento e sicurezza.
Oggi l’agenzia di Cerezo offre esperienze estreme in Polinesia, Indonesia, Filippine e America Centrale. I prezzi variano da 90 a 380 euro a notte. Di solito il viaggio dura circa una settimana. I clienti devono provvedere autonomamente agli spostamenti in aereo, ma una volta sbarcati si affidano alla Docastaway, che li conduce al porto e da lì nell’oceano a bordo di un motoscafo (spesso il tragitto dura più di un’ora e mezza) fino all’isola dei loro sogni. Qual è il margine di profitto di Cerezo? “Molto basso. Non diventerò mai ricco con questo lavoro, ma lo faccio perché è la mia passione. Inoltre è una scusa per continuare a esplorare nuove isole”.
In tredici anni d’attività Cerezo ha avuto più di mille clienti: dagli imprenditori come Ben Saul-Garner agli studenti, fino ai milionari che vogliono mettersi alla prova dopo aver vissuto per anni nel lusso e nella comodità. Ai clienti propone due opzioni: la modalità “sopravvivenza”, in cui si rimane sull’isola quasi senza equipaggiamento (in alcuni casi solo un machete o una fiocina) e bisogna cavarsela da soli; e la modalità “comfort”, in cui una squadra è sempre pronta a fornire da mangiare, acqua, un riparo e a soddisfare qualsiasi altra necessità.
Negli ultimi anni la modalità “sopravvivenza” è diventata sempre più popolare. In questo caso si può scegliere di essere lasciati sull’isola con alcuni oggetti – un machete, un accendino, una fiocina – ma dal momento in cui si resta da soli si fa affidamento solo sul proprio spirito di iniziativa per trovare da mangiare, costruire un riparo e individuare un modo per bere. Cerezo si assicura che le isole selezionate abbiano tutto quello che serve per soddisfare le necessità dei viaggiatori.
Di solito i “naufraghi” devono pescare granchi e pesci e arrampicarsi sulle palme per recuperare le noci di cocco. Alcuni si nutrono di quello che la corrente trasporta a riva, come i prodotti che cadono dalle imbarcazioni locali. “Su un’isola è tutto molto difficile. Bisogna lottare per qualsiasi cosa”, spiega Cerezo. “Potrei essere romantico e dirvi ‘sì, questa è la vita’. Ma in realtà essere protetti dalla civiltà è molto più facile. Questo è un vero banco di prova”.
Ogni cliente deve firmare una liberatoria in cui si assume tutte le responsabilità in caso di infortunio o morte, anche se Cerezo garantisce che finora non è mai successo nulla di grave. “Sanno bene che è pericoloso”, spiega. “Sono soli e senza un ospedale vicino. Se hanno bisogno di cure servono almeno quattro ore per trasportarli in ospedale. E comunque parliamo di strutture che non sono ben attrezzate”.
A volte i clienti si arrendono prima della fine del viaggio, di solito a causa delle scottature, della paura o della noia. “Vanno lì pensando che sarà un’avventura alla Indiana Jones”, spiega Cerezo. “Ma non è così. Un’isola deserta significa solitudine e alcune persone non sono capaci di stare da sole”.
La tabella dei rischi
Oggi la Docastaway non è l’unica agenzia che offre viaggi su isole deserte. La britannica Desert island survival propone servizi simili, ma rivolti ai gruppi. “Lavoravo nella finanza ed ero depresso”, racconta Tom Williams, il fondatore dell’agenzia. “Mi sentivo sempre fuori posto. Volevo scoprire luoghi incontaminati e andare oltre le mappe”.
In una serata particolarmente triste Williams ha scoperto l’agenzia di Cerezo e ha capito che c’era spazio per un’alternativa. Le proposte offerte da Williams, più che sulla poesia dell’isolamento e sulla promessa di un’esperienza che cambia la vita, si basano sulla possibilità di apprendere le tecniche necessarie per sopravvivere nella natura selvaggia. “È una fuga dalla routine quotidiana. Un modo per disconnettersi dalla rete e imparare come sopravvivere nel mondo reale”, spiega.
La Desert island survival offre viaggi di otto giorni, di cui cinque dedicati all’addestramento e tre in “modalità sopravvivenza”. S’impara a costruire un riparo, creare corde da fibre naturali, trovare acqua e cibo che non siano tossici, accendere falò usando tecniche di frizione e intrecciare le foglie di palma per costruire cesti, cappelli e letti. Le spedizioni sono formate da gruppi di persone che quasi sempre viaggiano da sole e non si conoscono tra loro, ma Williams si occupa anche di addii al celibato, viaggi tra padre e figlio e riunioni aziendali. Il pacchetto costa circa tremila sterline a persona (3.450 euro). Williams racconta di aver organizzato una cinquantina di viaggi (di cui venti quest’anno) con un margine di guadagno del 60 per cento. L’unico ostacolo alla crescita della sua attività è la difficoltà di trovare nuove isole. “Nelle Filippine ce ne sono molte incantevoli, ma ci sono anche i pirati”, spiega. “In Indonesia bisogna tenere conto delle vipere di fossa, mentre in Nuova Guinea ci sono i mamba verdi che possono letteralmente ucciderti”.
Una tabella dei rischi pubblicata sul sito dell’agenzia illustra i vari traumi che possono essere inflitti dai varani, dai cinghiali, dagli squali, dalle meduse, dai pesci palla, dalle razze e da altre creature che popolano le isole. Ma esiste un altro rivale particolarmente ostico per Williams: i reality show.
Quando programmi come Il sopravvissuto e Nudi e crudi hanno bisogno di girare un episodio, di solito pescano nello stesso serbatoio limitato di isole. Williams racconta che i produttori offrono cifre da capogiro che a volte superano i centomila dollari. Di recente un famoso youtuber ha pagato settantamila dollari per affittare un’isola al largo delle coste di Panamá per girare un video. “Si è presentato con cinque amici. Hanno scoperto che c’erano troppi insetti e se ne sono andati”, racconta. Spesso la Desert island survival deve accontentarsi di firmare contratti poco vincolanti che consentono ai proprietari delle isole di tirarsi indietro se si presenta un’opportunità più redditizia. Williams ha un’elenco di isole di riserva in caso di cambiamenti dell’ultimo minuto.
Sia Cerezo sia Williams sanno che la loro attività è esposta alla minaccia dell’industrializzazione su vasta scala. Oggi gli oceani si stanno acidificando più velocemente rispetto a qualsiasi altro momento della storia, mentre l’acqua è piena di miliardi di particelle di plastica e grandi quantità di detriti. Inoltre le isole che prima erano sconosciute ora sono state privatizzate e cementificate rapidamente spesso grazie a investimenti milionari. È sempre più difficile trovare un luogo non deturpato dagli esseri umani.
Nemmeno le isole deserte sfuggono a questa trappola. “Abbiamo dovuto abbandonarne alcune perché ormai sono troppo inquinate o perché ci stanno costruendo degli alberghi”, spiega Cerezo. “In futuro saremo costretti ad andare in luoghi sempre più remoti”.
Ma Cerezo, che oggi ha 43 anni, non teme le difficoltà. Il suo piano è lavorare con le isole deserte per il resto della vita: “Fino a quando vivrò sarò su un’isola deserta. Voglio assicurarmi che il maggior numero possibile di persone viva l’esperienza di sentirsi come l’ultimo essere umano sulla terra”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati