Un giorno di aprile, mentre gli ospedali brasiliani erano a corto di ossigeno e tremila persone al giorno morivano di covid-19, il capo di gabinetto di Jair Bolsonaro, Luiz Eduardo Ramos, 64 anni, ha ricevuto il vaccino. Era il suo turno ma l’ha fatto di nascosto, perché il suo capo è contrario ai vaccini. Quando gli è stato chiesto perché il Brasile stesse bloccando l’approvazione del farmaco della Pfizer, Bolsonaro ha risposto, con una battuta, che le iniezioni trasformano le persone in coccodrilli.

Il fatto che Ramos, un generale pluridecorato che ha comandato le forze per il mantenimento della pace ad Haiti, abbia dovuto fare le cose in segreto rivela la profondità dell’abisso nel quale è caduto il Brasile nelle mani di Bolsonaro, la cui carriera come capitano dell’esercito è stata contraddistinta solo dal suo arresto per insubordinazione. Ramos ha ammesso di essersi vaccinato durante un incontro in cui non sapeva di essere registrato. “Come ogni essere umano, voglio vivere”, ha detto.

Prima della pandemia da circa un decennio il Brasile soffriva di varie malattie politiche ed economiche. Ora che il suo dottore è Bolsonaro, il paese è in coma. Ad aprile sono morti di covid-19 più di 87mila brasiliani, il più alto numero al mondo di decessi mensili in quel momento. I vaccini sono così rari che le persone di meno di sessant’anni non li otterranno fino a settembre. E il 14,4 per cento dei lavoratori è disoccupato, una cifra record.

Fonte dispirazione
Eppure il 1 maggio i bolsonaristas, i sostenitori di Bolsonaro, avvolti in bandiere brasiliane, sono scesi in piazza. Incuranti della commissione parlamentare istituita per indagare su come il presidente ha gestito la crisi sanitaria, hanno applaudito il suo rifiuto d’indossare una mascherina, il suo sostegno all’idrossiclorochina e il suo desiderio d’inviare l’esercito a ostacolare le ordinanze di rimanere a casa. I suoi sostenitori a São Paulo hanno invocato l’“intervento dei militari”. Una donna ha detto a un turista che il Brasile non ha mai avuto una guerra civile. “È arrivato il momento”, ha aggiunto.

Basta sostituire il portoghese con l’inglese e la bandiera gialloverde con quella rossa, bianca e blu, e il raduno avrebbe potuto essere uno del 2020 negli Stati Uniti. Nel 2018, per vincere le elezioni, Bolsonaro si era fortemente ispirato alle tattiche usate da Donald Trump: populismo, nazionalismo, maschilismo e notizie false. Il Brasile era traumatizzato dalla corruzione, dalla recessione, dal peggioramento dei servizi pubblici e dai crimini violenti. I brasiliani erano stanchi dei politici incapaci di risolvere questi problemi, e Bolsonaro ha incanalato la loro frustrazione.

Si è presentato come un outsider nonostante avesse trascorso 27 anni in parlamento con un ruolo di secondo piano, facendo notizia solo quando diceva qualcosa di offensivo su donne, popolazioni indigene o omosessuali. Sostenitore della dittatura militare che ha governato il Brasile tra il 1964 e il 1985, si è spesso fatto ritrarre mentre, con il pollice e l’indice, mimava il gesto di sparare con un mitra. Una volta salito al potere, ha messo chiaramente nel mirino le istituzioni democratiche brasiliane.

Molti osservatori erano convinti che le istituzioni brasiliane avrebbero resistito agli istinti autoritari di Bolsonaro

Dieci anni fa l’elezione di Bolsonaro sarebbe stata impensabile. Dopo la dittatura il Brasile si è riformato. Una costituzione approvata nel 1988 ha creato istituzioni indipendenti. Nel 1994 una nuova valuta ha domato l’inflazione. Negli anni duemila un boom delle materie prime ha creato molti posti di lavoro. Con più soldi a disposizione, le vite dei brasiliani sono migliorate. Durante la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva, il Brasile ha raggiunto Russia, India e Cina nel cosiddetto Bric, il gruppo delle economie emergenti in rapida crescita. Ha guidato i negoziati sul clima e gli è stata assegnata l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016.

Una scia di traumi
Poi il boom delle materie prime è finito. Nel 2013 le proteste per l’aumento del prezzo dei biglietti dell’autobus si sono trasformate in mobilitazioni per far cadere il governo del Partito dei lavoratori (Pt), di sinistra. Un’indagine anticorruzione lanciata nel 2014, nota come lava jato (autolavaggio), ha scoperto che decine di aziende avevano pagato tangenti ai politici in cambio di contratti con la Petrobras, la società petrolifera nazionale. L’economia è crollata dopo le spese irresponsabili della successora di Lula, Dilma Rousseff. Manifestazioni più partecipate e più rabbiose hanno portato alla messa in stato d’accusa di Rousseff nel 2016. Il suo sostituto, Michel Temer, è stato accusato di appropriazione indebita e si è salvato per un pelo dalla destituzione nel 2017.

Bolsonaro è stato eletto sulla scia di tutti questi traumi. Aveva pochi fondi e una scarsa esposizione mediatica, ma la sua candidatura si è rafforzata dopo che è stato accoltellato mentre faceva campagna elettorale. Presentandosi come il salvatore del Brasile, ha ottenuto il 55 per cento dei voti. Il sostegno nei suoi confronti è stato forte soprattutto nel sud e nel sudest, le regioni più ricche e bianche del paese, e tra i conservatori come allevatori, agricoltori ed evangelici. Milioni di persone l’hanno sostenuto per rabbia nei confronti del Pt. Bolsonaro è apparso a molti elettori il minore dei mali.

La pandemia ha cancellato tutti i posti di lavoro creati dai tempi della recessione del 2014-2016

Molti osservatori erano convinti che le istituzioni brasiliane avrebbero resistito ai suoi istinti autoritari. Finora hanno avuto ragione. Anche se Bolsonaro sostiene che sarebbe facile organizzare un colpo di stato, non l’ha ancora fatto. Ma in un senso più ampio, avevano torto. I suoi primi 29 mesi al potere hanno dimostrato che le istituzioni brasiliane non sono forti come si pensava, e si sono indebolite sotto i suoi colpi. Cláudio Couto, che insegna scienze politiche alla fondazione universitaria Getulio Vargas, a São Paulo, le paragona ai freni di un’auto che affronta una discesa. “Se premuti troppo a lungo, possono rompersi”, dice.

Prendiamo il caso della giustizia. L’operazione lava jato sembrava il trionfo del decennio. I brasiliani speravano che le riforme contro la corruzione avrebbero fatto emergere politici più puliti, che avrebbero agito per il popolo e non per loro stessi. Ma alcuni procuratori e giudici dell’inchiesta avevano un piano politico. E questo ha permesso a Bolsonaro, di fronte alle accuse rivolte ai suoi figli, di interrompere l’indagine, favorendo non solo i politici corrotti, ma anche i gruppi della criminalità organizzata.

L’economia ha grande bisogno di riforme che arrestino la crescita della spesa pubblica, aumentino la competitività e affrontino il problema della disuguaglianza. Da candidato, Bolsonaro aveva sbrigativamente professato la sua fede nel libero mercato. Come ministro dell’economia ha assunto Paulo Guedes, un liberista che si è formato all’università di Chicago. Poi ha abbandonato ministro e liberismo, rifiutando di sostenere riforme che potrebbero costargli voti. Dopo un rinnovamento del sistema pensionistico nel 2019, il programma di riforme di Guedes si è fermato. Sei dei dieci esponenti del suo dream team economico si sono dimessi o sono stati licenziati.

La pandemia ha spazzato via tutti i posti di lavoro creati dai tempi della recessione tra il 2014 e il 2016, facendo ripiombare milioni di persone nella povertà. Nessuno dei quattro ministri dell’istruzione di Bolsonaro ha creato un sistema funzionante di scuola a distanza. Uno di loro è rimasto in carica solo cinque giorni, prima che si scoprisse che aveva arricchito il suo curriculum con false lauree in Argentina e Germania. Circa 35 milioni di bambini sono rimasti esclusi dal sistema scolastico per 15 mesi, e questo costituirà un freno alla mobilità sociale negli anni futuri.

Carne di maiale e clientelismo
In politica “la promessa di rinnovamento era una grande bugia”, dice Couto. Nel 2018 gli elettori hanno cacciato gran parte della classe politica tradizionale. Per la prima volta nel congresso ci sono più deputati alla prima esperienza che rieletti. Un piccolo gruppo che s’impegna per la responsabilità fiscale e altre riforme rappresenta una speranza per il futuro. Ma la maggior parte dei politici rimane ghiotta di carne di maiale e clientelismo. Dopo aver denunciato il sistema, Bolsonaro ci si è integrato per salvarsi da più di cento richieste di destituzione che lo riguardano.

Ha gravemente danneggiato la foresta amazzonica, che in Brasile oggi emette più anidride carbonica di quella che riesce a immagazzinare, a causa del cambiamento climatico e della deforestazione. Il presidente non crede nel primo e simpatizza con i responsabili della seconda: taglialegna, minatori e allevatori. Si è presentato al ministero dell’ambiente con una motosega, tagliandone il bilancio e cacciando il personale competente. Ridurre la deforestazione richiede controlli più severi e investimenti in alternative economiche. Nessuna delle due cose appare probabile.

All’inizio il covid-19 ha aiutato Bolsonaro. Le grandi spese a favore di aziende e poveri hanno distratto l’attenzione dalla sua incapacità di attuare riforme fiscali. I suoi indici di consenso sono saliti rapidamente da quando è entrato in carica. Lo scorso luglio si è ammalato di covid-19 e si è ripreso rapidamente, come aveva promesso. Sembrava che l’economia potesse fare lo stesso, aprendo la strada alla sua rielezione nel 2022.

Poi, all’inizio del 2021, il Brasile è stato colpito da una seconda ondata, con una variante più infettiva proveniente dalla città amazzonica di Manaus. Mentre i social network si riempivano di immagini di persone in fila per i vaccini nel vicino Cile, in Brasile, purtroppo, erano le pompe funebri a lavorare senza sosta. Bolsonaro ha continuato a scagliarsi contro lockdown e vaccini. Durante un rimpasto di governo ha licenziato il ministro della difesa, che avrebbe rifiutato di giurargli fedeltà. I capi delle tre forze armate si sono dimessi per protesta, alimentando per breve tempo le voci di un colpo di stato.

Non è andata così. Ma il Brasile sta affrontando la sua più grande crisi dal ritorno alla democrazia nel 1985. Le sfide che l’aspettano sono spaventose: stagnazione economica, polarizzazione politica, disastro ambientale, regresso sociale e un incubo pandemico. Inoltre deve fare i conti con un presidente che sta minando il suo stesso governo. I suoi sodali hanno sostituito i funzionari di carriera, mentre i suoi decreti hanno messo a dura prova l’intero sistema dei contropoteri democratici. Basta scorrere il Diário Oficial da União, la gazzetta ufficiale del Brasile, dove viene pubblicata ogni modifica legale approvata nel paese, dice la storica Lilia Schwarcz. “C’è un colpo di stato ogni giorno”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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