Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2017 sul numero 1192 di Internazionale.

A Cleveland, in una giornata di febbraio umida e gelida, un uomo senza una mano gioca con una palla inesistente. Igor Spetic ha perso la mano destra nel 2010: un incidente in fabbrica gli ha spappolato l’avambraccio. Quattro anni fa un’équipe di chirurghi ha impiantato una serie di piccole “interfacce” traslucide nei circuiti neuronali della parte superiore del suo braccio. Oggi pomeriggio, in un laboratorio sotterraneo del Veterans administration hospital, i fili saranno collegati a una protesi – una mano di plastica color carne con cinque dita mobili – attaccata a quel che resta del suo braccio. All’interno della mano ci sono dei sensori di pressione e i loro segnali possono essere trasformati da un computer in onde elettriche uguali a quelle naturali del sistema nervoso. I sensori della protesi inviano informazioni dal mondo esterno ai fili nel braccio di Spetic. Dal punto di vista del cervello, la sua mano è ancora lì, dev’essere solo richiamata in vita.

Ora la mano è viva. Quando parte la “stimolazione” – i segnali elettronici inviati dai sensori – Spetic prova diciannove sensazioni diverse e, soprattutto, può sentire la pressione come farebbe con una mano vera. “Non ci rendiamo conto di quanta parte dei nostri comportamenti è governata dalla nostra estrema sensibilità alla pressione”, dice Dustin Tyler, il ricercatore che coordina il progetto di Cleveland, mentre osserva con attenzione Spetic. “In genere associamo il tatto a cose come il caldo e il freddo o la trama di un tessuto di seta o di cotone. Ma una delle cose più importanti che facciamo con le dita è registrare quelle piccolissime differenze di pressione necessarie per svolgere certi compiti. Le percepiamo in un microsecondo, toccando la superficie di un oggetto. Al semplice tatto capiamo subito come spremere delicatamente un tubetto del dentifricio o schiacciare una lattina”.

Con la nuova protesi Spetic è in grado di sentire la superficie di una ciliegia in modo da poterne staccare il gambo con facilità e precisione anche senza guardarla. Queste mani artificiali sono molto forti, possono esercitare una pressione di venti chili. Se prendono un uovo, quindi, rischiano di schiacciarlo, ma grazie ai sensori possono svolgere i compiti più delicati.

Spetic va al laboratorio una settimana sì e una no. Il resto del tempo è impegnato a prendere la laurea in ingegneria. Ha cominciato a studiare quando è diventato disabile. I ricercatori cercano di sfruttare al massimo il tempo che passano con lui, per questo durante gli esperimenti c’è sempre un mormorio nervoso.

Tutta la nostra pelle è un organo percettivo che sente, ipotizza e cerca una logica

Spetic, un uomo robusto dal viso largo, con l’aria di chi è abituato a lavorare sodo con le braccia e con le mani, si sta sottoponendo a una nuova serie di test: senza protesi, solo grazie alla stimolazione dei nervi – di quello che volgarmente è chiamato il moncherino, o più educatamente il residuo del suo braccio – Spetic sta muovendo una mano virtuale in uno spazio virtuale, che appare su uno schermo davanti a lui. Muove la mano con i muscoli del braccio usando il cervello, e anche la mano sullo schermo si muove e afferra la palla. “Accendete lo stimolatore”, dice in tono quasi impaziente. Uno dei ricercatori è perplesso: il protocollo prevede che il soggetto non sappia quando viene acceso lo stimolatore. Lo accende lo stesso, e Spetic comincia subito a raccogliere la palla più facilmente. “Riesco a sentirla tra il mio pollice e le mie dita”, dice. Poi si corregge: “In questo spazio”. Tyler sussurra a un osservatore: “All’inizio diceva il pollice e le dita. Adesso dice il mio pollice e le mie dita!”. Il tatto non è una percezione a senso unico, ma un continuo scambio tra quella che Tyler chiama la “lingua” delle sensazioni e i dati grezzi della ricezione. “Abbiamo scoperto che la lingua del tatto è la cosa più importante”, dice Tyler. “La prima volta che abbiamo inviato uno stimolo, Igor ha sentito solo un formicolio. Il problema era passare dal formicolio al tatto. È come produrre un suono”. Tyler si ferma ed emette una sorta di grido inarticolato. “Posso sempre produrre un suono, ma non contiene nessuna informazione. Se invece lo suddivido nel modo giusto diventa una serie di parole”. Il laboratorio di Tyler brulica di assistenti e di studenti che si stanno specializzando. Tyler si aggira tra loro incoraggiandoli. “Quando abbiamo cominciato”, dice, “non riuscivamo ad andare oltre il formicolio, non riuscivamo a trasformarlo in tatto. Esiste il nervo digitale, che è in superficie, vicino alla pelle, perciò mi sono fatto collegare allo stimolatore e ho cominciato a provare diversi tipi di sensazioni tattili. Ci è voluto molto tempo, 98 volte su cento non ha funzionato. C’erano tante cose da modificare. Ma alla fine abbiamo scoperto uno schema ricorrente: un’onda sinusoidale modulante a un hertz compatibile con il ritmo biologico. Se si accorcia l’onda, il formicolio diventa tatto. Forse è una coincidenza, ma quell’onda, quella che lo trasforma in tatto, ha quasi il ritmo del battito cardiaco, è una sorta di battito corporeo fondamentale”. La giornata va avanti. Igor Spetic si intristisce un po’. “Odio andare via”, dice fermandosi sulla porta e guardando indietro. “Quando esco da questa stanza lascio qui la mia mano”.

Un ronzio nella tasca vuota
Ho cominciato a riflettere sul tatto quando nella mia tasca ho sentito ronzare qualcosa che non c’era. A volte pensiamo che stiamo diventando pazzi, mentre in realtà siamo in perfetta sintonia con i nostri tempi e con gli altri. Vediamo un film con il sonoro ad alta fedeltà e a un’elevata frequenza di fotogrammi, ci sembra che somigli a un programma televisivo della nostra infanzia e scopriamo che questo fenomeno è stato studiato: si chiama “effetto telenovela”. Proviamo uno strano desiderio di gettarci da una scogliera e scopriamo che stiamo subendo il cosiddetto “richiamo del vuoto”, che non è affatto un desiderio di morte, ma probabilmente un’autoregistrazione retrospettiva: arriviamo sul ciglio, ci tiriamo subito indietro e poi il cervello ci spiega le nostre azioni riordinando i nostri ricordi per farci credere che abbiamo davvero pensato di saltare. Vediamo un vestito blu e nero e pensiamo che sia bianco e oro, sembra che succeda a tutti. Oppure cominciamo a sussultare sentendo vibrare un telefono che non c’è. Sentivo distintamente un leggero ronzio, mettevo la mano in tasca e invece non c’era niente. Ho pensato che forse qualche terminazione nervosa della mia coscia si fosse così abituata alla vibrazione da essere entrata in spasmo da cellulare permanente. In realtà, come mi ha spiegato il neuroscienziato David Linden, si tratta di un errore di lettura del corpuscolo di Pacini.

“La sindrome del cellulare fantasma è molto comune”, mi ha detto Linden quando sono andato alla Johns Hopkins university di Baltimora. “Credo che succeda al 90 per cento degli studenti del college. Qualcos’altro stimola il corpuscolo – uno dei recettori sensoriali della coscia – e la pelle dice: ‘Ah, dev’essere di nuovo quel maledetto cellulare!’. È una dimostrazione del fatto che tutta la nostra pelle è un organo percettivo che sente, ipotizza e cerca una logica, una coperta con un cervello in ogni millimetro. Perciò se sente una vibrazione vicino alla tasca, il sistema la cataloga subito e la interpreta come il ronzio del telefono”.

Linden conduce essenzialmente esperimenti con i topi, inserendo neuroni fosforescenti nel loro cervello e manipolando il loro dna per fare in modo che i circuiti neuronali si accendano quando sono colpiti da una luce azzurra. Ma ha scritto molto sulla scienza del tatto ed è diventato un grande esperto in questo campo. Gli studiosi del cervello hanno scoperto solo di recente che la pelle e il tatto sono importanti e presentano una serie di aspetti paradossali come gli altri sensi. Il tatto è quello meno studiato, quello da cui dipendiamo di più, ma di cui parliamo di meno. Conosciamo bene le illusioni che possono creare i nostri occhi e le nostre orecchie, ma anche la pelle può ingannarci nello stesso modo. È come se vivessimo all’interno di un grande occhio, di un immenso orecchio che ci avvolge, con tutte le illusioni, i punti ciechi e gli errori che di solito commettono gli occhi e le orecchie. Siamo così abituati a vivere nella nostra pelle che la consideriamo un involucro neutro, capace di eccitarsi solo alle estremità (e nei momenti estremi), piuttosto che un organo sempre impegnato a sentire. Vediamo la pelle come una coperta che avvolge la nostra vita interiore, mentre, per molti aspetti, è la nostra vita interiore che si protende all’esterno.

Katarína Kacicová, EyeEm/Getty Images

“Sono stati pubblicati più articoli sulle basi molecolari e cellulari del tatto negli ultimi dieci anni che in tutto l’ultimo secolo”, dice Linden. “Negli ultimi cinquant’anni, probabilmente la letteratura scientifica ha prodotto cento articoli sulla vista per ogni articolo sul tatto. In parte questo è dovuto al fatto che la vista è più facile da studiare. Molte persone perdono la vista, ma quasi nessuno diventa ‘cieco al tatto’. Il fatto stesso che dobbiamo usare quest’espressione è significativo: essere ciechi al tatto è incompatibile con la vita, non esistono fondazioni benefiche per quelli che sono duri di tatto”.

David Ginty è un neuroscienziato dell’Harvard medical school che studia i “neuroni meccanosensori a bassa soglia” (di stimolazione), quelli che consentono al cervello di interpretare le sensazioni tattili. Ginty sottolinea l’importanza delle nuove scoperte fatte con i modelli animali, perché hanno permesso “una rinascita” della scienza del tatto. “Lo studio della genetica dei topi è stato fondamentale”, dice. “Come modelli animali i roditori ormai sono maturi, e ora siamo in grado di applicare l’approccio genetico-molecolare moderno a vecchi problemi come quello delle sensazioni somatiche”. Ginty mi spiega come i geni dei topi ci permettono di capire il funzionamento del tatto umano. “Possiamo accendere e spegnere il sistema del prurito. Ci interessano soprattutto i neuroni sensoriali che innervano la pelle. E stiamo cercando di capirne la complessità: perché ci sono tanti neuroni sensoriali? Cosa fanno? Come interagiscono tra di loro per produrre la percezione del tatto?”.

Il mondo della ricerca sul tatto è suddiviso in un incredibile numero di specializzazioni: aptica, protesica, studi somatosensoriali e così via. Ma tutte studiano il rapporto tra la nostra pelle e il nostro senso dell’io. Linden è convinto che, tra tutte le nuove scoperte sul tatto e sulle sensazioni aptiche, le più importanti siano quelle più specifiche. Sono stati individuati sistemi tattili sorprendentemente peculiari chiamati linee etichettate. “Ogni volta che approfondiamo lo studio del sistema tattile, ci rendiamo conto che è più specializzato di quanto pensassimo”, dice Linden. “ È utile capire che questi sistemi non sono solo risposte cognitive diverse agli stessi stimoli, sono sistemi integrati completamente diversi tra di loro. Esistono linee etichettate separate per tanti sistemi apparentemente intrecciati”. La diversa percezione che abbiamo tra un tocco “affettuoso”, come una carezza, e altri tipi di contatto, come un’aggressione o il palpamento di un medico, è dovuta a due sistemi sensoriali diversi che collaborano tra loro.

Un altro tipo di ricerca “specifica” è condotto da un altro neuroscienziato della
Johns Hopkins, Xinzhong Dong. È l’Einstein del prurito: ha scoperto che il sistema del prurito è una linea etichettata con i suoi neuroni specializzati. Originario della Cina, parla un inglese asciutto e garbato. “Un tempo si credeva che il prurito fosse solo un piccolo dolore”, dice. “Ma non è così. È un sistema separato. C’è un ampio dibattito su come il prurito e il dolore sono codificati nei neuroni sensoriali. Qualche anno fa abbiamo scoperto un gruppo di cellule che fanno da recettori specifici del prurito. È stato un passo in avanti fondamentale”.

Dong ha disattivato in alcuni topi il gene del recettore sospetto, ma per testare il sistema del prurito ci voleva un modo affidabile per farlo provare ai roditori. “Molte persone che praticano il bodybuilding soffrono di un forte prurito. Prendono un farmaco per impedire l’accumulo di acido lattico. I muscoli non si affaticano, ma dicono di provare la sensazione di migliaia di punture di zanzare. Lo abbiamo provato sui topi e quelli con il recettore attivo hanno cominciato a grattarsi furiosamente, mentre quelli in cui era stato disattivato sembravano non sentire niente. Questo dimostrava che avevamo trovato il recettore giusto. In caso di prurito i topi mostrano un comportamento specifico. Quando gli iniettiamo una sostanza chimica nel muso, se provano dolore usano una delle zampe anteriori per massaggiarsi la parte. Mentre se gli iniettiamo una sostanza che provoca prurito, usano una delle zampe posteriori per grattarsi. Gli animali usano quasi sempre le zampe posteriori per grattarsi. Perciò capiamo subito se provano prurito o dolore”.

Guardando le riprese video si vede chiaramente la differenza: con un leggero dolore i topi si massaggiano delicatamente il muso; se provano prurito, si grattano furiosamente. Sono due sistemi separati che possono essere accesi e spenti come le lampade di un portico. Dagli esperimenti si deduce una strana simmetria tra i due sistemi. Si può trasformare il prurito in dolore, dice Dong, ma il contrario non funziona. Il prurito, inoltre, è una sensazione specifica della pelle: alle ossa si può provare dolore ma non prurito. In un altro esperimento Dong ha reso fluorescenti le fibre dedicate al prurito e, come si aspettava, sono apparse solo sulla pelle. Perché il prurito è così importante? Su questo esistono varie teorie. L’ipotesi più probabile è che nasca dal bisogno adattivo fondamentale degli animali di difendersi dai parassiti, che di solito provocano più prurito che dolore. Probabilmente poter distinguere se si aveva un insetto sul sedere o un dolore alla schiena era importante ai fini della sopravvivenza.

Il punto più alto della ricerca sono i convegni sulla tecnologia aptica, che attirano molti specialisti del settore. Uno dei più importanti è il simposio annuale dell’Electrical and electronics engineers’s, che nel 2016 si è tenuto a Filadelfia. Tra i moltissimi congegni in mostra ci sono un “nuovo strumento vibrotattile assistito per scrivere nell’aria” e una “nuova interfaccia aptica da indossare sulla punta delle dita per la resa di forme e superfici virtuali”. Poi c’è l’Animotus, un dispositivo progettato da Adam Spiers, dell’università di Yale, “per comunicare prossimità e direzione”. È un piccolo cubo bianco diviso in due parti che si può tenere comodamente in mano e che – collegato al wifi, al bluetooth o al gps – cambia continuamente forma e ti spinge nella direzione giusta per strada, guidandoti in modo silenzioso ed efficiente verso la destinazione che gli hai chiesto. È come avere in mano un minuscolo cane guida, che ti lecca il palmo con la lingua. Volendo, potrebbe essere collegato a un rilevatore di ostacoli e sostituire davvero i cani per ciechi. C’è anche un congegno per il massaggio svedese a distanza. Creato da un’équipe di tecnici messicani, permette alla massaggiatrice di spostare semplicemente le mani su un sensore di movimento, che riproduce la sensazione esatta del suo tocco sulla schiena di un paziente disteso su un materassino dotato di altri sensori di movimento accuratamente regolati. Le massaggiatrici svedesi non dovranno più muoversi dalla Svezia, potranno restare a Stoccolma e inviare i loro massaggi via email in tutto il mondo.

La dimostrazione più interessante del convegno è quella di William Provancher, un ex professore di ingegneria meccanica dell’università dello Utah che dirige la startup Tactical haptics. Provancher è in grado di creare incredibili illusioni tattili usando semplici strumenti di controllo per i videogiochi. Con il suo Htc Vive, un paio di occhiali per la realtà virtuale, crea una grande distesa di spazio bianco vuoto. Zombie a grandezza naturale ti vengono incontro uscendo da buchi che si aprono all’interno dello spazio bianco. Armato solo di arco e frecce – anche se in realtà hai in mano un joystick con una specie di grilletto che ricorda l’erogatore di una pompa di benzina – quando scocchi la freccia puoi sentire la tensione dell’arco virtuale, il sibilo della freccia e la terra che trema quando colpisci uno zombie e lo abbatti.

Heather Culbertson, una ricercatrice di Stanford, ha lavorato nel famoso laboratorio Grasp (General robotics, automation, sensing and perception) dell’università della Pennsylvania, ed è tornata a Filadelfia per presentare la sua invenzione. È un’interfaccia aptica che, strofinata su una superficie neutra, è in grado di creare l’illusione di un centinaio di sensazioni tattili diverse. Rete metallica, metallo liscio, carta vetrata, linoleum, foglio di plastica a bolle, cartone, filtro del caffè, mattone: tenendo in mano uno strumento a forma di penna si può toccare il nome del materiale desiderato, trascinare la penna su una superficie e le dita proveranno la stessa sensazione che proverebbero toccando il materiale scelto. Si sente il legno, il mattone, la carta. La sensazione cambia, come nella vita reale, a seconda della forza e della velocità con cui si sposta il congegno sulla superficie.

La regina dell’aptica è però Katherine J. Kuchenbecker, che dirige l’équipe del
Grasp e ha supervisionato il lavoro di Culbertson. Figlia di uno psicologo dello sviluppo, trova gratificante vedere che tante donne lavorano nel settore. È comprensibilmente riluttante a dire chiaramente che le donne sono più portate per lo studio delle sensazioni perché ne provano più degli uomini, ma alla fine arriva più o meno a dirlo. “Nell’aptica abbiamo una lunga tradizione di direttrici della ricerca”, ammette. La fondatrice del Grasp, d’altronde, è la leggendaria esperta di robotica Ruzena Bajcsy.

Katarína Kacicová, EyeEm/Getty Images

A Kuchenbecker piace l’idea che i dispositivi aptici possano essere usati sia dai professionisti sia dalla gente comune. Quello creato da Culbertson permette ai designer di scegliere i tessuti a distanza e a chi vuole comprare un indumento online di toccare il lino di una camicia. “Io e Heather abbiamo preso una macchina da ripresa aptica – basata sulle sensazioni tattili invece che sulle immagini – e una serie di materiali. Abbiamo registrato dieci secondi d’interazione, trascinando lo strumento avanti e indietro, prima velocemente e poi più lentamente, variando la pressione. Ma per creare l’illusione che si sta toccando un oggetto reale, le sensazioni devono variare leggermente a seconda dei movimenti. Perciò abbiamo suddiviso la registrazione in sezioni di cinquanta o cento millisecondi, per ottenere la massima precisione: prima passando velocemente su una superficie con poca pressione e poi più lentamente ma con una pressione maggiore”.

L’illusione è creata dalle vibrazioni. La penna, che somiglia a una grossa stilografica con un filo attaccato in fondo, trasmette schemi di vibrazioni alle dita. In un certo senso, funziona come la puntina che passa nei solchi di un vecchio disco in vinile, solo che trasmette alle dita e non alle orecchie. “Quando si modifica la pressione o la velocità, la forma d’onda delle vibrazioni cambia per adattarsi a quella che abbiamo misurato durante la registrazione originaria dei dati”, dice Kuchenbecker. “È come registrare un suono naturale, per esempio quello di una cascata, e poi creare un suono sintetico uguale, ma che va avanti all’infinito e non è esattamente come un loop, perché non si ripete mai. Il trucco è modificare continuamente le proprietà della forma d’onda, perché corrispondano alle condizioni di esplorazione, come se modificassimo la velocità di caduta dell’acqua di una cascata. Questo crea un’illusione fluida, mobile e tridimensionale”. Una volta scelto il materiale, si trascina la penna nel nulla e si ha la sensazione della pressione e della velocità, come nel mondo reale.

Il dolore fantasma negli arti amputati è un fenomeno che si verifica spesso

La pressione corrisponde alla tonalità e la trama alla melodia, ma per noi il tatto diventa più importante nei casi estremi, quando proviamo il dolore o il piacere sessuale. Nel caso del dolore fantasma, parti del corpo che non esistono più possono continuare a sentire e perfino a soffrire. Nel caso del sesso il tocco è diverso da quello affettivo e sembra avere un’urgenza maggiore. Sono entrambe forme di tatto iperbolico, che rendono la stimolazione più forte di quanto sarebbe plausibile.

Stretta in una morsa
Dopo l’amputazione Igor Spetic provava un dolore forte e persistente. Sembrava arrivare dalla mano che non aveva più. “Era insopportabile, 24 ore su 24, sette giorni su sette, come se la mano fosse stretta in una morsa”, dice. L’ultima cosa che ricorda vagamente dell’incidente è la sua mano stretta in una morsa mentre lui si allungava verso la pressa meccanica che l’aveva schiacciata. Sembra che la sua mente abbia continuato a vivere quell’ultimo momento.

Il dolore fantasma negli arti amputati è un fenomeno che si verifica spesso, ma per molto tempo si è ritenuto che fosse la risposta al trauma dei nervi della parte rimasta dell’arto. Il progetto di Dustin Tyler a Cleveland ha contribuito a confermare che si tratta anche di un fenomeno cognitivo, legato alla parte “più alta” del sistema. Quando i sensori del braccio di Spetic sono stati stimolati, il dolore è diminuito e poi è sparito. Rassicurato dal fatto che la mano non c’era più, che il trauma era passato e non c’era più bisogno di una risposta, il cervello l’ha liberata dalla necessità di provare dolore. Secondo Tyler, il costo dell’intervento e della mano artificiale, se mai fossero messi a disposizione di tutti, probabilmente raggiungerebbe le decine di migliaia di dollari, e in futuro la cosa migliore per i pazienti con forti dolori neuropatici e fantasma potrebbe essere questa terapia. Con lo stimolatore si può guarire.

Sembra che anche il dolore normale sia strettamente legato al contesto. La severità del dolore, come hanno dimostrato già diversi anni fa Ronald Melzack, della McGill university, e i suoi studenti, varia enormemente in base al contesto in cui si prova: i soldati che sul campo di battaglia riportano ferite grazie a cui potranno tornare a casa sono così felici da non sentire nessun dolore. Dopo un parto le donne raccontano di un’esperienza dolorosa ma produttiva e quasi mai si rifiutano di avere un altro figlio per questo motivo.

Non è che il soldato non senta la ferita o la donna il travaglio, ma entrambi riorganizzano la loro esperienza in base alla situazione. È uno dei motivi per cui, com’è stato notato, chi soffre di dolori neuropatici debilitanti spesso conduce una vita soddisfacente, mentre chi nasce incapace di provare dolore spesso muore giovane. Possiamo rimodularlo, ma non possiamo vivere senza il nostro sistema di allerta. Il dolore, naturalmente, costituisce una parte importante della nuova scienza del tatto. La maggior parte dei finanziamenti per progetti come quello di Tyler arrivano dal Pentagono, che ha anche investito decine di milioni di dollari in protesi, perché molti soldati sono tornati dalle guerre in Iraq e in Afghanistan senza un braccio o una gamba dopo aver riportato ferite che in guerre precedenti sarebbero state mortali.

Conseguenze enormi
Gli atti tattili sono quasi sempre furtivi, subconsci o sociali, ma il tocco sessuale è cercato, specifico, è motivato dal desiderio e può avere conseguenze enormi. A suo modo, è un piacere fantasma, un’esperienza diversa dalle altre. Tuttavia, anche se in base all’esperienza tendiamo a separare la tattilità sessuale dalle altre sue forme, sembra che a livello neurofisiologico non abbia nulla di specifico. “Pensiamo che sia una cosa specifica, da discutere nei convegni”, dice David Linden. “Ma in realtà sembra che non ci sia niente di speciale nel tocco sessuale. Se isoliamo una terminazione nervosa e la studiamo, non riusciamo a capire se è legata alle sensazioni sessuali. Ci sono molti nervi nel clitoride e nel glande, e sono più numerosi dove la maggior parte degli uomini sostiene di provare le sensazioni più forti. Ma questa non è una prova”. È stato dimostrato da tempo che nella corteccia somatosensoriale – la “mappa” del nostro cervello che mette in relazione specifiche aree della corteccia con specifiche zone della pelle – i genitali sono rappresentati sia dove ce li aspetteremmo (intorno alla parte bassa del tronco e a quella superiore delle gambe) ma anche più giù, intorno ai piedi. Questo ci aiuta a capire perché, come ha scritto uno studioso del feticismo sessuale, “su internet troviamo 93.885 ricerche sui piedi e solo 5.831 sulle mani”.

“E poi ci sono alcune piccole stranezze significative”, prosegue Linden. “Alcune persone soffrono di sindrome dell’orgasmo, qualcosa di simile all’asimbolia del dolore, cioè l’incapacità di provarlo: se sono colpite con un martello, sanno che sono state colpite, ma non provano niente. La stessa cosa può succedere con il piacere: consideriamo l’orgasmo qualcosa d’intrinsecamente piacevole, ma si può anche avere un orgasmo più convulsivo che trascinante. A livello periferico succedono le stesse cose, si verificano le stesse contrazioni ritmiche, ma la sensazione non è molto diversa da quella di uno starnuto. Cosa manca a queste persone? Uno dei casi più famosi della letteratura in materia è quello di una donna che aveva un orgasmo ogni volta che si lavava i denti, probabilmente provocato dall’attività fisica ripetuta. Questi continui orgasmi la estenuavano e ogni mattina sorgeva il dilemma: lavarsi o non lavarsi i denti?

Normalmente, però, i due sistemi tattili apparentemente più automatici e involontari, quelli relativi al dolore e al piacere, sembra siano quelli più legati alla società. Il dolore non è un’illusione condivisa, e il sesso non è un fatto culturale. Se ci tagliamo con un coltello, proviamo dolore indipendentemente dalla compagnia in cui ci troviamo. L’orgasmo di Cleopatra non era sicuramente molto diverso da quello di Meg Ryan in Harry ti presento Sally. Ma entrambe le cose sorprendentemente dipendono da come pensiamo che dovrebbero essere. Il prurito arriva al nostro corpo direttamente dall’antichità, il dolore e il piacere sessuale entrano nella nostra vita attraverso la comunità, come le notizie locali.

Quindi se il limite accettabile della tecnologia aptica non va oltre i giochi della realtà virtuale, la sua frontiera tacita ma silenziosamente riconosciuta è più romantica. Esiste già una “camicia” che può trasmettere un abbraccio da chi la manda a chi la indossa. È stata progettata da Ryan Genz e Francesca Rosella, della casa di moda londinese Cutecircuit. Una decina di anni fa Genz e Rosella hanno deciso che il tatto era l’anello mancante della modernità. “Potevamo trasmettere la voce e le immagini, ma non potevamo trasmettere il tocco”, dice Genz. Originariamente costruita come una sorta di grande fascia per misurare la pressione, la camicia aveva provocato un certo allarme. La nuova versione si limita a vibrare in sincronia con un’altra. Il primo abbraccio attraverso l’oceano Atlantico è avvenuto durante un convegno del 2006 e se ne possono immaginare di ancora più lunghi e forti. “L’unico passo avanti logico dell’aptica è arrivare al vero e proprio sesso virtuale”, scrive Emma McGowan, una giornalista specializzata in tecnologia sessuale. “Le tute aptiche ormai non sono più fantascienza”. I tecnici parlano già di congegni che consentono di fare sesso virtuale con personaggi di fantasia o persone famose.

A questo punto l’aptica entra nel campo degli accessori erotici. Secondo Come osserva la ricercatrice canadese Meredith Chivers, c’è un chiaro divario tra quello che suscita sensazioni fisiche nelle donne e quello che le donne trovano eccitante. In materia di sesso la scienza del tatto conferma che sono le storie più che le sensazioni a stimolarci. È più probabile che ci ecciti una macchina che racconta storie che non una tuta aptica, com’è sempre avvenuto da quando esiste l’erotismo.

Il tatto dei robot
Al convegno di Filadelfia ogni dimostrazione del funzionamento di un apparecchio è seguita da un breve intervento del suo inventore, che illustra quattro usi potenziali in ordine decrescente d’importanza: medicina, prostetica, consumo e gioco. Un congegno aptico può aiutare a operare su una prostata, aggiungere sensibilità a una mano artificiale, permettere di sentire la trama del tessuto di una camicia via internet o far sentire la pressione del grilletto quando si spara agli zombie nella realtà virtuale.

Ma questo settore raggiungerà la sua vera apoteosi quando riuscirà a riprodurre l’intelligenza artificiale aptica nei robot. Se il sogno degli esperti d’intelligenza artificiale è sempre stato creare un computer in grado di battere un campione di scacchi, quello degli esperti di robotica è di creare, entro il 2050, una squadra di umanoidi in grado di vincere la coppa del mondo di calcio. Kuchenbecker dice sorridendo: “È il nostro obiettivo più audace”.

Il nostro alone tattile e propriocettivo ci dà il senso della continuità dell’io

Secondo lei la scoperta più importante degli ultimi dieci anni in materia di tatto è che l’intelligenza della pelle è come tutti gli altri tipi d’intelligenza. Me ne parla nel laboratorio del Grasp mentre mi mostra un Da Vinci, un sistema chirurgico robotizzato. Il Da Vinci – un insieme di bracci e di piccoli bisturi affilati – è in grado di incidere e di operare con una precisione che nessun chirurgo umano può sperare di avere. Anche se al momento è in riparazione, c’è un cartello che avverte i visitatori di non avvicinarsi. “Non toccare. Test in corso. Il robot è attivo”. È fermo, ma è comunque funzionante, e c’è poco da scherzare con quella macchina. Lì vicino c’è un robot più paffuto, con i bracci più imbottiti e le armi meno affilate. Entrambi si trovano in una stanza riservata ai robot, che ospita anche diversi piccoli giocatori su un campo di calcio in scala ridotta. Un giorno, quando saranno pronti per realizzare il grande sogno, saranno ricostruiti a grandezza naturale.

L’obiettivo di Kuchenbecker è fornire ai robot qualcosa di più della semplice abilità meccanica. Vuole dotarli di “sensibilità aptica”, per permettere al chirurgo che li usa di sentire con la mano la consistenza di un muscolo o di palpare un fegato a distanza. Alla fine quella capacità potrebbe essere infusa nel robot stesso, che non dovrebbe più essere controllato da un essere umano. “L’intelligenza aptica è un aspetto fondamentale dell’intelligenza umana”, conclude. “Non è solo un fatto di destrezza. Significa sapersi muovere nel mondo. L’intelligenza aptica è l’intelligenza umana. La usiamo già bene anche se non la conosciamo. In realtà è molto più difficile muovere correttamente un pezzo degli scacchi – prenderlo, spostarlo attraverso la scacchiera e posarlo di nuovo – che decidere qual è la mossa giusta”. E aggiunge: “Quando ho cominciato a studiare l’intelligenza artificiale, sono rimasta sbigottita nel vedere che nella maggior parte dei casi è solo forza bruta, capacità di calcolare velocemente una serie di possibilità. I computer che giocano a scacchi sembrano intelligenti, ma sono solo stupide macchine. Allungare elegantemente la mano, prendere il pezzo giusto e appoggiarlo delicatamente nel posto giusto in un ambiente non controllato: questo sì che è difficile. L’intelligenza aptica è un miracolo quasi irriproducibile. Dato che siamo così bravi a usarla, non ce ne rendiamo conto. Le macchine sono brave a decidere quale dev’essere la prossima mossa, ma ancora non sono capaci di muoversi nel mondo”.

Lo studio dell’intelligenza aptica solleva interrogativi ancora più profondi. Noi siamo la nostra pelle, perché la pelle traccia una linea intorno alla nostra esistenza e ci permette di percepire il mondo. Possiamo separare il nostro io dai nostri occhi e dalle nostre orecchie, riconoscere le informazioni che ci danno come tali, ma il nostro alone tattile e propriocettivo ci dà il senso della continuità dell’io.

Sono rari i casi in cui qualcuno arriva a credere che la metà destra del suo corpo sia sua e la metà sinistra appartenga a qualcun altro. Le esperienze extracorporee sono collegate a questo tipo di illusioni e probabilmente sono alla radice sia dei casi di esperienza mistica sia delle storie di rapimenti degli alieni. La possibilità di queste illusioni fa pensare che il loro opposto potrebbe essere una comoda invenzione, un trucco che imponiamo alla nostra esperienza. In altre parole, quando si verifica, un’illusione somatica colpisce il senso d’identità. Toccando in sequenza una serie di punti della pelle è possibile creare l’illusione di tocchi intermedi, come se un coniglio ci stesse camminando sul braccio. Il cosiddetto “coniglio cutaneo” può anche essere fatto saltare dal corpo su un bastone. Quel coniglio siamo noi che saltiamo fuori dalla nostra pelle.

In realtà è possibile immaginare una discontinuità con la nostra pelle. Igor Spetic prova qualcosa del genere quando lascia la sua mano in laboratorio. “A pensarci bene”, dice Tyler, “non esiste un vero limite per la distanza a cui potrebbe arrivare il collegamento. Si potrebbe restare seduti a Cleveland e fare un’operazione chirurgica a Tahiti con la sensazione di toccare la carne e gli organi del paziente. Si potrebbe addirittura mandare una stretta di mano a un amico con un sms”. Perfino un visitatore, giocando con la mano virtuale di Spetic, e anche senza la stimolazione che gli permette di sentire la superficie di oggetti inesistenti, può avere la sensazione che anche la sua mano sia lì sullo schermo. Voi siete qui, e la vostra mano è a due metri di distanza. Giocando con quest’idea il filosofo Daniel Dennett ha inventato un esperimento mentale in cui il cervello del soggetto è in una vasca nel Texas mentre in Oklahoma occhi, mani e arti artificiali telecomandati si muovono seguendo le sue indicazioni. Il saggio che ha scritto su questo esperimento s’intitola semplicemente “Dove sono?”. Per la prima volta questa fantasia potrebbe concretizzarsi nel mondo reale: in un certo senso, durante i fine settimana la mano di Spetic resta nel laboratorio. Un pezzo di lui è lì.

A volte può sembrare che il pensiero sul tatto sia diviso tra quello dei filosofi e quello degli scienziati e dei tecnici. Nell’introduzione al volume The book of touch, Constance Classen spiega che l’antologia “non fornisce nessuna informazione scientifica sul tatto”, perché “i tentativi di spiegare la cultura tattile attraverso modelli scientifici ci dicono di più sulla cultura della scienza che sulle basi scientifiche della cultura”. Secondo gli umanisti, quello che stanno facendo gli scienziati, anche se non lo sanno, è uno studio culturale.

Vita interiore
Dacher Keltner è uno dei pochi “multilingue” del settore, una persona che parla bene sia il linguaggio delle neuroscienze e della fenomenologia sia quello dei dati e dell’esperienza umana quotidiana. Professore di psicologia di Berkeley specializzato nella scienza delle emozioni, Keltner è stato anche consulente della Pixar durante la realizzazione di Inside out, il cartone animato sulla vita interiore di una bambina. Secondo lui il tatto è l’esperienza morale primaria: è la moralità come la sperimentiamo per la prima volta nel mondo reale. Il pensiero viene dopo, per organizzarla. “Il tatto è il primo senso che attiviamo, e i rapporti umani sono tutti fondati sul tatto”, dice. “Pelle a pelle, madre e figlio, il tatto è il linguaggio della nostra vita sociale. Getta le basi del sentimento. Tra madre e figlio lo scambio tattile dura quattro anni. Tra i primati l’altruismo nasce dalla condivisione del cibo, e quando condividono il cibo si toccano continuamente. La reciprocità è tattile. L’aggressione è tattile. Il sesso è tattile. Il tatto è la base morale del nostro senso di comune umanità. Anche la nostra consapevolezza sociale è profondamente tattile”.

Keltner è tra gli autori di uno studio che ha stabilito dodici tipi diversi di “tocco celebrativo” tra i giocatori di basket professionisti: “Il colpo con il pugno, il cinque in alto, il tocco sul petto, il colpo alla spalla con salto, lo schiaffo in testa, il pugno sul petto, l’abbraccio alla testa, il cinque in basso, il dieci in alto, l’abbraccio completo, il mezzo abbraccio e l’abbraccio di gruppo”. I ricercatori hanno scoperto che le squadre i cui giocatori si toccano spesso funzionano meglio di quelle in cui non si toccano. Il contatto fisico riduce lo stress, solleva il morale e aiuta a vincere, un colpo sul petto ci insegna la collaborazione, un mezzo abbraccio la compassione.

L’approccio di Keltner si basa sull’idea che la coscienza stessa sia “esteriorizzata”, che viviamo in rapporto con gli altri, non con un io interiore immaginario, con l’omuncolo che è nella nostra testa. Il nostro corpo è una membrana continuamente attraversata da sensazioni e pensieri. L’esperienza del nostro corpo, delle cose che sente, dei movimenti che fa e quello che prova quando tocchiamo una persona sono la nostra principale esperienza mentale. “Il cervello fa semplicemente parte del nostro corpo”, dice il filosofo Alva Noë. In un certo senso il vero titolo del film della Pixar avrebbe dovuto essere Outside in (da fuori a dentro), con le emozioni provocate dalle persone che si scontrano tra loro.

L’esperienza tattile è fondamentale: quello che tocchiamo, chi tocchiamo, quante persone tocchiamo e perché lo facciamo. Afferrare, abbracciare, colpire, giocare, accarezzare, grattarsi la schiena e massaggiarsi il sedere non sono forme di comunicazione primitive, sono la base stessa della coscienza di noi stessi. Interveniamo sul mondo toccandolo. La vita è tatto.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2017 sul numero 1192 di Internazionale. Era uscito sul New Yorker.

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