Anche se la guerra in Ucraina infuria, la Corte distrettuale dell’Aja sta portando avanti le udienze che riguardano lo schianto del volo 17 della Malaysia Airlines (MH17), rispettando scrupolosamente tutte le procedure. Il Boeing 777 è stato abbattuto sopra i cieli del Donbass il 17 luglio 2014, causando la morte di tutte le 298 persone a bordo. I legali della difesa hanno presentato le loro argomentazioni, contestando le conclusioni dell’indagine e dell’accusa tra il 7 e il 30 marzo scorso. Le risposte degli inquirenti saranno pubbliche dal 16 maggio.

Con il senno di poi, la questione può essere ridotta alla smentita delle infinite bugie della narrazione ufficiale russa. Queste menzogne non sono nemmeno ciò che in gergo si potrebbero chiamare ruse de guerre (stratagemmi di guerra), poiché non hanno lo scopo di ingannare un potenziale nemico (che capirebbe rapidamente di cosa si tratta) ma lo stesso popolo russo, privato di fonti di informazione alternative. Un altro obiettivo è quello di mantenere l’ordine all’interno della comunità, in modo che nessuno debba ricorrere a interpretazioni personali ma piuttosto memorizzare la versione ufficiale. E che tutti, invece di chiamare le cose con il loro nome, usino i cliché e le etichette coniate dall’autorità. L’uso della menzogna è funzionale a distinguere l’amico dal nemico.

Anche epiteti come “nazisti”, “fascisti” o “genocidio”, martellati di continuo dai mezzi d’informazione allo scopo di penetrare dentro la testa delle persone, rientrano nelle menzogne ufficiali di questo contesto. Una persona intelligente può facilmente leggere le definizioni di questi termini su Wikipedia e decidere a quale sistema sociopolitico si adattano meglio.

Una tattica consueta
“Stanno mentendo, sappiamo che stanno mentendo e loro sanno che noi sappiamo che stanno mentendo”, ha detto in tribunale, esprimendosi in russo, Ria Van der Steen, che ha perso padre e matrigna nell’incidente. In realtà stava cercando di citare Aleksandr Solženicyn. Non lo ha fatto con grande precisione, ma è riuscita a trasmettere la sua idea. “Le bugie e le falsificazioni sono una tattica consueta in questo gioco del gatto e del topo, in cui ci stiamo sforzando di scoprire la verità”, ha detto.

Lo schianto del Boeing 777 della Malaysia Airlines, abbattuto mentre viaggiava da Amsterdam a Kuala Lumpur, è stato un campanello d’allarme che attirò l’attenzione del mondo intero sul conflitto tra Russia e Ucraina, ancora più dell’annessione della Crimea e dell’istituzione delle “repubbliche” separatiste.

La guerra di qualcun altro si è improvvisamente intromessa nella vita privata dei familiari di trecento vittime che non c’entravano niente

Forse all’epoca quegli eventi hanno preoccupato solo alcuni politici, perché erano una palese violazione dell’ordine internazionale stabilito all’inizio del terzo millennio. Ma dove non è stato violato?

Per il resto del mondo, le ex repubbliche sovietiche erano solo delle regioni esotiche dotate di peculiari sistemi di corruzione. Ma poi trecento persone che non avevano nulla a che fare con quel lontano conflitto sono state uccise. Per un paese piccolo e densamente popolato come i Paesi Bassi, dove viveva la maggior parte delle vittime, si trattava di parenti, vicini con cui socializzare nel pub di quartiere o a una riunione di genitori a scuola, colleghi di lavoro o persone con cui condividere un passatempo. La guerra di qualcun altro si è improvvisamente intromessa nella loro vita privata. È vero, nel 2014 era ancora lontanissimo il momento in cui, nel febbraio 2022, i leader dell’Ue avrebbero riconosciuto che la guerra era tornata in Europa.

Le indagini e il processo
Per indagare sull’incidente dell’MH17, il 7 agosto 2014 è stato istituito il Joint investigation team (Jit), composto da esperti delle forze dell’ordine di Australia, Belgio, Malaysia, Paesi Bassi e Ucraina, nonché dall’agenzia dell’Ue per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust). Nell’autunno del 2019, i procuratori olandesi hanno identificato quattro persone come sospette colpevoli per il loro ruolo nell’abbattimento del volo MH17. Gli imputati sono tre cittadini russi: Igor Girkin (alias Strelkov), Sergej Dubinsky (detto Khmury) e Oleg Pulatov (Gyurza). Ma anche un cittadino ucraino: Leonid Charčenko (Krot). Nessuno di loro si è presentato in aula e solo Pulatov, un ufficiale militare russo in pensione, ha deciso di farsi rappresentare alle udienze in contumacia da una costosa squadra internazionale di avvocati.

La prima udienza si è tenuta il 9 marzo 2020. L’accusa ha concluso che l’MH17 è stato abbattuto da un missile sparato da un lanciatore terra-aria Buk, posizionato nel territorio controllato dalla repubblica popolare di Donetsk (Dpr), un’entità non riconosciuta. Il lanciatore Buk apparteneva alla 53ª brigata di difesa aerea russa ed era stato consegnato al sito di lancio dalla Russia. Tutte le teorie alternative sono state escluse in quanto incoerenti. L’accusa è del parere che, nonostante nessuno degli imputati abbia personalmente lanciato il missile, tutti abbiano gestito collettivamente l’operazione.

Speravano che la verità sarebbe affondata nel mare delle false teorie o forse non gli importava cosa avrebbe detto l’opinione pubblica straniera

I parenti delle vittime si fidano della corte e non credono alla versione russa. Hans de Borst, che ha perso la figlia nello schianto, ha detto che questa diffidenza è ben comprensibile se non altro perché “Mosca ha cambiato troppo spesso la sua versione dei fatti: prima era un caccia ucraino, poi un missile terra-aria Buk, ma anche uno ucraino…”.

Dopo lo schianto, Mosca ha cominciato a fabbricare numerose teorie per sviare ogni possibile sospetto dai suoi uomini, come se solo l’Ucraina potesse essere responsabile di qualcosa di brutto. Mosca ha continuato a negare il suo coinvolgimento con ostinazione anche se, come è evidente dai documenti resi pubblici durante il processo, conosceva la causa dello schianto dell’MH17 fin dall’inizio. Su cosa contavano? Forse speravano che la verità sarebbe affondata nel mare delle false teorie, e che gli investigatori stranieri non sarebbero stati in grado di andare a fondo dell’accaduto. O forse non gli importava davvero cosa avrebbe detto l’opinione pubblica straniera.

Non appena una nuova teoria si rivelava palesemente falsa, veniva modificata, e quando pure questa smetteva di funzionare, i conduttori televisivi sembravano dimenticarla, come se non fosse mai esistita, e passavano subito a un’altra versione, anch’essa falsa. Senza alcuna vergogna. A simili sforzi hanno partecipato inoltre non solo la macchina della propaganda statale, rinforzata appositamente per lo scopo, ma anche autorevoli aziende e istituti di ricerca.

Le menzogne di stato sono evidenti anche solo guardando la lista degli imputati che l’indagine internazionale ha identificato come le persone coinvolte nell’organizzare la consegna di un lanciatore di missili russi terra-aria Buk al villaggio di Snižne, vicino a Donetsk, e la sua successiva riconsegna alla Russia. Tre di queste quattro persone sono ufficiali militari professionisti con passaporto russo. Questo fatto da solo la dice lunga sull’ipotesi del “conflitto interno ucraino” e delle “milizie del popolo” della Dpr e della repubblica popolare di Luhansk, di cui ci hanno insistentemente parlato per otto anni dall’inizio dell’“operazione speciale”.

Le telefonate
Nelle intercettazioni telefoniche presentate in tribunale, i sospetti inventano storie inverosimili su due piedi appena si rendono conto dell’accaduto, ed è proprio su questa base che i propagandisti hanno poi costruito le loro teorie del complotto.

Alle 18.20 del 17 luglio 2014, un tale Igor (che parla con la voce di Strelkov) chiama presumibilmente Dubinsky.

“I giornalisti mi stanno assillando, quelli di Ntv ma anche altri. Dicono che un Boeing è caduto vicino a Donetsk. A circa ottanta chilometri da Donetsk. È vero?”.

“Cosa intendi, in battaglia?”.

“Dico: un Boeing. Si è schiantato un aereo”.

“Oh, i nostri uomini ne hanno abbattuto uno sopra Savur-Mohyla, vicino a Marynivka. I nostri uomini hanno abbattuto un jet Su. Due ore…”

“Dicono che si è schiantato un Boeing da quelle parti”.

“Ho sentito che un altro si è schiantato da qualche parte tra Charcyzk e Horlivka. Finora non ne so niente. E i nostri uomini hanno abbattuto un Su…”.

“Questo lo so. Ora sto parlando di un Boeing”.

“No, Igor, non ne so nulla. Davvero”.

Confusione generale. I commenti di giubilo sono notevolmente meno numerosi che nelle precedenti conversazioni tra uomini armati rispetto a presunti aerei nemici abbattuti.

Ore 18.44, conversazione tra Pulatov e Charčenko.

“Bene. Tutto va bene. Il punto è che quel jet Su ha abbattuto un aereo passeggeri cinese appena un minuto prima”.

“No, no, no. Abbiamo colpito quel Su”, ripete fiducioso Charčenko.

“Lo so. Il Su aveva abbattuto un aereo cinese poco prima, ok? E poi abbiamo preso subito quel Su. Il mondo intero si metterà a piagnucolare ora… Sta andando tutto bene. La cosa più importante ora è non dire nulla… Prima del tempo…”.

Nei seguenti scambi tra Pulatov, Charčenko e Dubinsky, i tre modificano questo resoconto con dettagli sul fatto che “il nostro Buk ha abbattuto un jet Su ucraino”, il quale avrebbe “abbattuto” un aereo passeggeri appena un minuto prima.

Alle 19.54, Dubinsky condivide la cosa con Girkin alias Strelkov.

“Da Snižne i nostri hanno visto il Su abbattere un Boeing e poi i nostri ragazzi hanno abbattuto quel Su con un Buk, al secondo tentativo. Molti dei nostri stavano guardando, l’ha appena riferito Gyurza Pulatov… Non è una buona notizia, Igor?”.

“Be’, non lo so. Onestamente, non ci credo molto, ma…”.

“Ma ci daranno comunque la colpa, diranno che siamo stati noi ad abbatterlo. Capisci cosa intendo?”.

Charčenko chiama Dubinsky.

“Nikolayich, lasciamo che l’Osce venga sul luogo dell’incidente o no?”.

“Certo che sì. Ma sei sicuro che la gente ha visto davvero che è stato un Su ad abbatterlo, o siamo stati noi?”.

“Non noi, Nikolayich, non noi”.

“È stato un Su?”.

“Esatto, un Su, c’era un solo paracadute”.

“Ok. E poi abbiamo abbattuto il Su con un Buk, giusto?”.

In questo resoconto si parla ancora del “nostro Buk”, vale a dire un Buk russo. In seguito questa versione è stata modificata: le milizie non potevano avere un Buk, e la Russia non glielo ha fornito. Poi la versione si evolve ulteriormente: il Boeing è stato abbattuto con un Buk, ma quel Buk era ucraino. Sembra che, in quello stesso periodo, sia stato deciso di riportare il Buk in Russia. L’aereo di linea è stato abbattuto involontariamente, forse per mancanza di abilità, durante la caccia ai jet Su ucraini. Ma ammetterlo era impensabile.

La serie di teorie smentite
In primo luogo, la cosa andrebbe contro le “nostre tradizioni”. In seconda battuta, equivarrebbe ad ammettere che un potente sistema militare è stato portato in territorio ucraino dalla Russia, ed è stato gestito da specialisti militari russi, la cui presenza in loco era stata negata in precedenza.

Nei giorni successivi alla tragedia, i principali organi di propaganda russi hanno pubblicato resoconti su un controllore del traffico aereo spagnolo di nome Carlos, che presumibilmente lavorava all’aeroporto Boryspil di Kiev, il quale, mentre monitorava il volo MH17, avrebbe visto due aerei da combattimento ucraini nelle vicinanze. Il canale Rt lo ha intervistato e ha mostrato un servizio, in stile thriller, nel quale l’uomo veniva perseguitato dagli ucraini. Più tardi si è scoperto che lo spagnolo in realtà non era un controllore del traffico aereo e non avrebbe potuto essere tale ai sensi della legge ucraina. L’uomo è stato accusato di truffa nel suo paese d’origine e di essere stato pagato dalla Rt per l’intervista. E così anche Carlos, alla fine, è scomparso dagli schermi televisivi.

Eppure i mezzi d’informazione che sostengono il Cremlino hanno continuato a dare in pasto all’opinione pubblica la storia di un caccia ucraino che ha abbattuto il Boeing civile. Mikhail Leontev, una ex celebrità della propaganda russa, poi ricompensato per i suoi servigi con un comodo impiego come portavoce della compagnia petrolifera Rosneft, ha dimostrato tutta la sua fedeltà nel novembre 2014. Nel suo programma televisivo Odnako sul Primo canale russo, ha mostrato una foto sensazionale, dicendo che era stata scattata da un satellite spia il 17 luglio. Questa foto presentava un profilo di aereo molto definito sul suo angolo sinistro e una sottile linea bianca ben visibile, che attraversava la traiettoria di volo del Boeing, e che appariva come la scia di un missile lanciato da sotto l’ala sinistra di un caccia MiG-29. Sotto la foto erano visibili data e Utc, l’ora universale usata dagli specialisti dell’aviazione.

L’autore della trasmissione ha provato a sottrarsi a ogni responsabilità pronunciando la frase “se la foto fosse autentica…”. Ma questa si è persa all’interno della dettagliata pseudoanalisi della vicenda. Tale teoria è stata inoltre sostenuta da un parere di Ivan Andrievskij, primo vicepresidente dell’Unione russa degli ingegneri, da un rapporto della stessa Unione fatto ampiamente circolare e, addirittura, dalla dichiarazione di un eminente esperto statunitense d’aviazione, laureato al Massachusetts institute of technology e con vent’anni di esperienza professionale, di nome George Bilt. La conclusione degli esperti era inequivocabile: l’unica teoria tecnicamente plausibile per l’abbattimento dell’MH17 è che si sia trovato sulla traiettoria di un missile sparato da un altro aereo. A dire il vero, Leontev ha dovuto poi scusarsi per la falsità della sua versione e ha detto che stava solo facendo ipotesi e non affermando qualcosa con certezza. Ma in un contesto generale non veritiero anche le speculazioni aggiungono menzogne alle menzogne.

Anche se la teoria del caccia da combattimento ha perso forza nel corso del tempo, è arrivata al tribunale grazie agli sforzi degli avvocati di Pulatov

Il grande coro di propagandisti che si rivolge alla “gente comune” non si è nemmeno preoccupato di inventare false spiegazioni pseudoscientifiche. Uno di questi, Anatolij Vasserman, ospite gradito dei canali televisivi statali, ha scritto all’epoca che “il Boeing malaisiano è stato innegabilmente abbattuto dall’esercito ucraino seguendo le direttive degli Stati Uniti. Questo è ovvio se non altro per il fatto che nessun altro avrebbe potuto farlo. La vicenda è stata analizzata in maniera sufficientemente approfondita. La domanda è perché i padroni statunitensi e i loro complici ucraini abbiano avuto bisogno di una cosa del genere”. Questo genere di rozze menzogne entra immediatamente a far parte dell’inconscio collettivo, in assenza di informazioni e pensieri alternativi.

Anche se la teoria del caccia da combattimento ha perso un po’ di forza nel corso del tempo, ha raggiunto il tribunale grazie agli sforzi degli avvocati di Pulatov. La macchina della propaganda russa ne aveva tuttavia in serbo anche altre, che gradualmente sono diventate predominanti. Mosca ha accettato che l’MH17 possa essere stato abbattuto da un missile Buk, purché questo sia ucraino e non russo, il che implicava che Kiev aveva organizzato quel disastro di proposito per attirare l’attenzione internazionale e demonizzare la Russia.

La teoria di un’esplosione a bordo, che per definizione avrebbe risparmiato alla Russia qualsiasi imputazione, è stata esclusa dall’inchiesta nella fase iniziale, sulla base di un’analisi tecnica dei resti dell’aereo di linea. Mosca ha pertanto scelto di non perseguire questa linea, ma ha preferito contestare il modello del missile e la posizione del sito di lancio.

Mosca ha sostenuto che il Boeing è stato colpito da un missile obsoleto di tipo sovietico, che la Russia, con il suo esercito avanzato, ha smantellato molto tempo fa, ma che l’Ucraina continua a usare. Ha anche affermato che il missile è stato lanciato da una zona controllata in quel momento dalle forze armate ucraine, e non dalle milizie di Donetsk.

Per sostenere le sue conclusioni, il Cremlino è ricorso all’artiglieria pesante, coinvolgendo l’azienda militare di stato Almaz-Antey. Perfettamente consapevole della vera causa dello schianto dell’MH17, ha speso un sacco di soldi del suo bilancio (ricordiamoci che la Russia non era formalmente una parte del conflitto all’epoca) per effettuare due esperimenti in scala reale e redigere un rapporto nel quale presentava le sue conclusioni. La corte distrettuale dell’Aja lo ha incluso nei fascicoli del processo, e gli specialisti della Almaz-Antey sono stati autorizzati a esaminare la ricostruzione del relitto dell’aereo nell’hangar di una base aerea olandese.

Ma gli inquirenti hanno poi usato le loro carte vincenti, come le immagini satellitari del sito di lancio vicino al villaggio di Pervomaiske, con l’erba bruciata e le tracce dei cingoli del lanciatore Buk, così come le schegge a forma di farfalla trovate nei corpi dei membri dell’equipaggio, che avrebbero potuto essere usate solo nelle ultime versioni del missile, che l’Ucraina non possedeva. Oltre a ciò, sono state scoperte cancellature nei documenti presentati dalla Russia a proposito del trasferimento di vecchi modelli di Buk alle forze armate ucraine. Le foto dei movimenti dei Buk presentate dal ministero della difesa russo contenevano inoltre segni di manipolazione, e il ministero non è stato in grado di fornire i file originali.

Gli sforzi del tribunale per smascherare e confutare ogni elemento delle menzogne alimentate dallo stato russo sembrano insignificanti e perfino ingiustificati, oggi che viviamo il disastro globale in cui la guerra in Ucraina ha fatto precipitare il mondo. Le bugie del passato sono state messe a nudo e impallidiscono al cospetto della guerra. La portata di queste menzogne è cresciuta moltissimo, ma gli approcci, i metodi e gli obiettivi rimangono gli stessi. È per questo che il verdetto del processo MH17, atteso entro la fine di quest’anno, sarà comunque importante.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Novaja Gazeta. Europe.

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