Nel villaggio di Phinaya, nella regione peruviana meridionale di Cusco, l’orizzonte è dominato dal Quelccaya, enorme e maestoso: arriva a 5.500 metri di altitudine. Il paesaggio, però, non è composto da cime montuose, ma da vasti altopiani di ghiaccio e crepacci che formano una delle calotte di ghiaccio più estese del mondo, con una superficie di 42 chilometri quadrati.
Gli scienziati osservano con particolare attenzione il gigante bianco, noto anche come Quyllur puñuna (là dove riposano le stelle, in lingua quechua). Sui suoi pendii l’acqua scorre creando zone umide chiamate bofedales, dove pascolano diverse specie di camelidi andini. Lo scioglimento del ghiaccio crea vari corsi d’acqua: alcuni affluiscono nel fiume Vilcanota, le cui rapide precipitano fino a Machu Picchu e alimentano la centrale idroelettrica di Santa Teresa, che fornisce energia a una parte degli 1,2 milioni di abitanti del dipartimento di Cusco.
Ai piedi del ghiacciaio la famiglia di Yolanda Quispe, un’allevatrice di alpaca di 44 anni, è preoccupata perché il Quelccaya sta morendo lentamente. Secondo alcune stime, negli ultimi quarant’anni avrebbe perso il 46 per cento della sua massa e uno studio della Nasa ha rivelato che il ghiacciaio potrebbe scomparire del tutto prima della fine del secolo.
Per anni Quispe ha lavorato come guardia del parco naturale dell’Ausangate, dove si trova il Quelccaya. Ogni giorno ha visto la natura cambiare davanti ai suoi occhi. “Le bofedales si prosciugano e ci sono sempre meno puquiales, pozzi naturali. Questo ci preoccupa molto, perché noi consumiamo quest’acqua, e anche gli animali”, spiega. La donna racconta con tristezza che, insieme al ghiacciaio, si sta perdendo anche una parte della cultura e dell’identità degli abitanti della zona.
Le montagne di ghiaccio hanno un ruolo fondamentale per le comunità quechua, che le considerano entità sacre, oggetto di miti e leggende. “Il Quelccaya per noi è vitale. Facciamo offerte, lo ringraziamo e ce ne prendiamo cura. Lo proteggiamo e in cambio il ghiacciaio protegge noi”, spiega Quispe.
Questa comunità, che sopravvive in condizioni climatiche estreme, deve affrontare periodi di siccità sempre più frequenti a causa dell’arretramento del ghiaccio e del calo delle precipitazioni. Nel 2022 la famiglia di Quispe ha perso decine di alpaca, su cui si fonda l’economia locale. Quispe, per esempio, vende la lana di questi animali e consuma la loro carne.
Il cambiamento climatico ha colpito centinaia di famiglie quechua che vivono nella zona e dipendono quasi interamente dalle risorse naturali, ma anche varie specie di animali selvatici, sia uccelli sia mammiferi.
Questi cambiamenti, conseguenza della crisi climatica e della deforestazione (che altera il ciclo delle precipitazioni), ricordano che l’Amazzonia non è lontana, meno di cento chilometri in linea d’aria: “Quando ci sono incendi nella foresta gli effetti si sentono anche qui. Sul ghiaccio si depositano macchie scure”, dice Quispe.
Thomas Condom, dell’Istituto di ricerca per lo sviluppo di Grenoble, in Francia, ha studiato queste particelle. Sono una causa ulteriore dell’arretramento dei ghiacciai. “Le polveri scure accelerano lo scioglimento del ghiaccio assorbendo i raggi del sole. Possono provenire da incendi boschivi ma anche dalle attività di estrazione mineraria, diffuse nella regione di Cusco, o ancora dall’attività vulcanica naturale, come in altre regioni del Perù”, spiega il ricercatore.
Il rischio di un disastro naturale provocato dallo scioglimento dei ghiacciai e dallo straripamento dei laghi glaciali è preso molto sul serio nelle 18 catene montuose del paese. Nel 1970 la piccola città di Yungay, ai piedi della cordigliera Blanca, fu spazzata via in pochi minuti a causa di una scossa sismica che provocò il distacco di un enorme blocco di ghiaccio e l’esondazione di un lago glaciale, riversando sulle case una valanga di ghiaccio, roccia e acqua, e uccidendo più di settantamila persone. È stata la peggiore catastrofe naturale nella storia del paese.
Nel 1941 una valanga seguita da una colata di fango distrusse parte della città di Huaraz. Con il peggioramento della crisi climatica episodi di questo tipo potrebbero diventare sempre più frequenti, perché il Perù si trova su numerose faglie sismiche. “A causa dell’aumento della temperatura i massicci sono più fragili e le pareti rocciose meno stabili”, dice Condom. Per questo le autorità peruviane sorvegliano in maniera costante i massicci. “Il Perù è un precursore nella gestione di questo tipo di rischi. Esistono sistemi di allerta avanzati, piani di prevenzione e percorsi di evacuazione. Sono state eseguite grandi opere, come i tunnel di cemento in grado di assorbire un’enorme quantità d’acqua in caso di esondazione dei laghi”, conclude il ricercatore.
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