Trecento metri sotto terra, Sebastian Tirintică aziona un ascensore nella miniera Livezeni, nella valle del fiume Jiu, in Romania. I suoi occhi sono spalancati per la concentrazione mentre muove la leva per abbassare la gabbia che trasporta ferro, legno e altri materiali di cui i suoi colleghi hanno bisogno per estrarre il carbone. La sua attenzione tiene in vita gli altri minatori, cosa che vale per tutti quelli che lavorano a Livezeni. La maggior parte delle attrezzature ha più di trent’anni. I minatori vanno sottoterra sapendo che un supporto del soffitto potrebbe crollare o che un nastro trasportatore potrebbe rompersi. In sette anni di lavoro nella miniera, Tirintică si è ritrovato sepolto nel carbone tre volte. Ogni volta i suoi colleghi lo hanno tirato fuori. “Il pericolo ci unisce”, dice. “È la fratellanza del sottosuolo. Sai che il collega dietro di te può salvarti la vita”.
Ma fuori della miniera, al livello istituzionale, dice, non c’è nessuno che gli guardi le spalle. Il settore del carbone è in declino da trent’anni, ed è stato creato poco altro per sostituire i posti di lavoro persi. A metà degli anni novanta, le quindici miniere nella valle del Jiu davano lavoro a 45mila persone. Oggi rimangono circa tremila lavoratori in quattro miniere: Livezeni, Vulcan, Lonea e Lupeni. Sono tutte destinate a chiudere entro il 2030, mentre la Romania si sforza di raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione europea. Il carbone rappresenta circa un quinto delle forniture energetiche del paese, meno dell’eolico e del solare messi insieme.
Con la chiusura delle attività, gli abitanti di queste città che dipendono dall’industria del carbone sono costretti ad andarsene per trovare una paga decente. Molti se ne sono già andati. Nel condominio di cinque piani di Tirintică, quasi la metà delle case è vuota. “Abbiamo bisogno di qualcosa con cui sostituire il lavoro in miniera”, dice Lucian Enculescu, capo del sindacato Libertatea 2008 a Livezeni. “Qualsiasi cosa”.
Progetto pilota
Vari programmi di finanziamento dell’Ue cominceranno a distribuire denaro, nel tentativo di aiutare i paesi a eliminare gradualmente il carbone e facilitare una “giusta transizione” verso l’energia pulita. Ma attualmente nella valle ne è attivo solo uno: un centro di formazione a Petroșani, la città più vicina a Livezeni. L’obiettivo è riqualificare professionalmente duecento persone nei prossimi due anni come tecnici di turbine eoliche. Il progetto è gestito dalla Renewable energy school of skills (Scuola dei saperi dell’energia rinnovabile, Ress) con il supporto dell’Associazione romena per l’energia eolica.
Il centro, che è entrato in funzione alla fine di settembre, è finanziato attraverso il programma europeo Human Capital. È il progetto pilota di una proposta più grande per riqualificare ottomila minatori e altre persone nella valle nei prossimi dieci anni. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto usando i fondi dell’Ue, secondo Sebastian-Petre Enache, amministratore delegato di Ress: “L’industria si è impegnata a dare la priorità sul mercato del lavoro a chi si diplomerà all’accademia”.
Tirintică e i suoi colleghi sono consapevoli che il carbone è in via di estinzione e accolgono con favore il nuovo programma, convinti che il lavoro nel settore dell’energia eolica sia adatto a loro
Il programma di formazione, che dura da uno a quattro mesi, per un valore di circa ottomila euro, è gratuito per i minatori. Il corso gli permette di avere la certificazione necessaria a lavorare nelle turbine in tutta la Romania e all’estero. “Questo programma di riqualificazione è forse la cosa migliore accaduta alla valle del Jiu negli ultimi dieci anni”, dice l’ex minatore Adrian Borbel, oggi formatore di tecnici di energia eolica. “L’energia eolica offre posti di lavoro che permettono alle persone di sostenere le loro famiglie, anche se sono le uniche a lavorare nel nucleo familiare”.
Tirintică e i suoi colleghi sono consapevoli che il carbone è in via di estinzione e accolgono con favore il nuovo programma, dicendo di voler imparare e convinti che i posti di lavori nel settore dell’energia eolica siano adatti a loro. Dopo aver lavorato in miniera con macchine vecchie di decenni, l’attrezzatura eolica all’avanguardia sembra un lusso. “Molte persone mi chiedono: non ti fa paura lavorare su una turbina eolica?”, racconta Tirintică. “Come posso avere paura di lavorare a cento metri d’altezza? Quando sono in miniera, vado trecento metri sottoterra ogni giorno”.
Un’esperienza pratica
Nonostante l’entusiasmo, alcuni minatori sostengono che il progetto non sia così perfetto. La valle non è adatta all’energia eolica e chiunque voglia lavorare nell’industria dovrà andarsene. Molti dicono che i salari offerti dal settore delle rinnovabili non sono abbastanza alti da compensarli per il tempo trascorso lontano dalle loro famiglie. Tirintică ha già seguito un corso di riqualificazione nell’industria eolica e ha raccontato che gli è stato offerto uno stipendio da 1.350 euro al mese per lavorare come tecnico di base. Sarebbero più dei seicento-ottocento euro che guadagna in miniera, ma significherebbe anche passare metà dell’anno lontano da casa e dalla famiglia. Dovrebbe anche rinunciare ai suoi lavoretti secondari e pagare un affitto in una città con un costo della vita probabilmente più alto che nella valle del Jiu.
La formazione è progettata per fornire ai minatori un’esperienza pratica, in modo che i loro stipendi iniziali possano corrispondere a quelli delle miniere. Con il tempo i diplomati del programma potrebbero guadagnare fino a cinquemila euro al mese, secondo Enache. Ma il tempo necessario a costruirsi una carriera nelle rinnovabili si scontra con il bisogno a breve termine dei minatori di guadagnare denaro. Alcuni dicono che se dovessero comunque stare lontani dalla famiglia potrebbero prendere in considerazione altri lavori pagati meglio. Per esempio nell’edilizia o raccogliendo asparagi in Germania si possono guadagnare tra i duemila e i 2.800 euro al mese.
Le persone come Tirintică, che hanno famiglia nella valle, hanno scelto di lavorare in miniera seguendo una logica economica. Lui è cresciuto ascoltando storie sul lavoro sotterraneo da suo padre e non aveva intenzione di fare o stesso. Ma dato che la maggior parte dei datori di lavoro della regione offre solo trecento o quattrocento euro al mese, ha visto nella miniera l’unica via per una stabilità finanziaria.
Rimodellare l’economia
Per decenni l’economia locale è stata dominata dal carbone. Il denaro europeo in arrivo ha l’obiettivo di diversificarla. La Romania può accedere a circa due miliardi di euro del Just transition fund (Fondo per una transizione giusta) dell’Ue. Questo processo comincia con la creazione di piani specifici per le regioni carbonifere del paese, compresa la valle del Jiu. La Commissione europea ha assunto la società di consulenza PwC per gestire il processo di pianificazione. Il network internazionale di consulenti ha tenuto molti incontri e laboratori con le parti locali interessate, tra cui sindaci, dirigenti sindacali, sacerdoti e ong. Ma, a quanto dicono i minatori, non hanno parlato con uno solo dei lavoratori in prima linea.
La bozza più recente del progetto propone di rimodellare l’economia, costruire infrastrutture, migliorare la qualità della vita e promuovere l’imprenditoria locale. Sostiene la creazione di programmi per attirare investitori internazionali, costruire centri dove le persone possano formarsi per avviare carriere nella tecnologia e in altri settori, e per sviluppare il turismo nella regione. Come questi piani possano essere attuati rimane una questione aperta.
“Tutti si chiedono: perché gli investitori non vengono?”, racconta Florin Tiberiu Iacob-Ridzi, sindaco di Petroșani. “È perché siamo a cento chilometri da qualsiasi autostrada. La valle del Jiu è un po’ isolata”.
Fino a quando non sarà messa in atto una strategia, i minatori devono trovarsi soluzioni da soli, sapendo che presto potrebbero perdere il lavoro. Quelli vicini all’età pensionabile di 45 anni pensano di accettare la buonuscita di diecimila euro del governo, offerta periodicamente per ridurre il numero di posti di lavoro che dipendono dal carbone. Oltre alla somma forfettaria, fanno affidamento sulla generosa pensione concessa per le pericolose condizioni di lavoro. I minatori più giovani sono costretti, invece, a formulare dei piani di riserva. Alcuni fanno già un secondo lavoro, oltre ai turni in miniera, effettuando riparazioni, posando piastrelle o guidando camion per le consegne.
Mădălin Brândău, minatore da sei anni, ha recentemente seguito un corso sulle energie eoliche sul lavoro in quota, tenuto dalla stessa organizzazione che gestisce il centro Petroșani. Al momento, dice, la miniera è l’opzione migliore e non ha ancora firmato un contratto per passare alle rinnovabili. Sa, però, che la data di eliminazione del carbone in Romania è vicina, e sta pensando a cosa fare.
“Mi sto preparando per quando le miniere chiuderanno”, dice. “Ho seguito un corso di saldatura. Ho preso la patente di guida per i camion. Ho fatto tutti i corsi che erano disponibili. Quando le miniere chiuderanno, metterò sul tavolo tutte le mie certificazioni”. Se possibile, vorrebbe rimanere nella sua città, dove canta in una band tradizionale romena insieme ad altri minatori.
Per ora, con pochi altri lavori redditizi a disposizione, minatori come Tirintică e Brândău continuano ad andare sottoterra sperando di uscire vivi alla fine del loro turno. “Da bambino, vedendo continui incidenti ed esplosioni, ho pianto fino a notte fonda pregando che dio chiudesse la miniera di Petrila dove lavorava mio padre”, racconta Brândău. Non ha ancora detto a sua madre che lavora come soccorritore, entrando nelle zone sotterranee più pericolose per salvare i suoi colleghi o spegnere gli incendi.
I corsi di energia eolica a Petroșani cominceranno entro la fine dell’anno, ma il futuro della valle del Jiu rimane incerto. “Sappiamo cosa dovremmo fare”, dice Iacob-Ridzi, il sindaco di Petroșani. “Ma nessuno sa come”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it