Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 il 35 per cento delle persone tra i 15 e i 24 anni vivrà in Africa. Oggi l’età mediana nel continente è 19 anni. Significa che metà della popolazione ha più di 19 anni, e l’altra metà ne ha meno. In India, il paese più abitato del mondo, l’età mediana è 28 anni. In Cina è 38.
Le implicazioni di questo processo sono enormi, anche se variano molto da una regione all’altra – parliamo di un continente che ha un’infinità di culture sparse in 54 paesi, su una superficie più grande di Cina, India, Europa e Stati Uniti messi insieme. Un dato certo è che, tra mille difficoltà, le ragazze e i ragazzi africani sono più istruiti e connessi che in passato. Nel 2020 il 44 per cento di chi aveva i requisiti di età ha completato il ciclo d’istruzione superiore, rispetto al 27 per cento del 2000. E ormai una persona su due ha un cellulare e può accedere a internet.
Keziah Keya, una keniana di 21 anni, ha imparato a programmare da sola, raccogliendo informazioni online. Nel 2019 ha rappresentato il suo paese alle Olimpiadi internazionali di matematica, ospitate a Bath, nel Regno Unito. Lo scorso settembre ha vinto una borsa di studio per frequentare un college negli Stati Uniti, anche se il suo progetto è vivere in Kenya e usare l’informatica per combattere la crisi climatica. “Se vogliamo cambiare le cose, dobbiamo farlo da soli”, dice Keya. “E non possiamo permetterci di aspettare”.
Anche Rokhaya Diagne è una giovane e promettente informatica. Nel suo caso, la passione per i computer nasce dai videogame: da piccola ci giocava per ore ogni giorno, nonostante le strigliate della madre. “I videogiochi mi hanno insegnato molte cose”, dice. “Mi hanno dato la capacità di risolvere i problemi. Non mi pento di tutti quei pomeriggi”.
Diagne ha 25 anni e vive a Dakar, in Senegal. Il suo nome compare tra gli sviluppatori di un’app che mette in contatto le persone fanatiche della tecnologia (una sorta di Tinder per nerd), ma non è la cosa di cui si vanta di più. Parla senza sosta degli esperimenti fatti all’università, e di bioinformatica (la scienza che sfrutta gli algoritmi per analizzare dati biologici).
Frequenta l’ultimo anno alla Dakar american university of science and technology, un istituto che dà molta importanza all’apprendimento pratico, il che significa che gli insegnanti assegnano progetti agli studenti e si aspettano che li realizzino in gran parte da soli. Lo scopo è sempre risolvere un problema locale.
Un compito, per esempio, chiedeva di costruire un drone in grado di trasportare un carico di cento chili per una distanza di dieci chilometri (superando il traffico di camion nell’area del porto di Dakar). Diagne doveva maneggiare un drone sottomarino per raccogliere informazioni sui pesci e le posidonie, piante marine che assorbono anidride carbonica.
“Quando ho cominciato, non sapevo nemmeno cosa fosse la posidonia”, confessa alla giornalista del New York Times. “Avevo visto un drone sottomarino solo nei film. Non sapevo distinguere un pesce da un altro”. Per imparare a riconoscere le varie specie ha chiesto aiuto a un pescatore, e con i suoi compagni ora sta passando al livello successivo: costruire un drone da zero.
Mentre era alla ricerca di un nuovo progetto in cui impegnarsi, ha saputo che l’Organizzazione mondiale della sanità si era data l’obiettivo di eliminare la malaria dal continente entro il 2030. Uno dei maggiori problemi sanitari del Senegal è la mancanza di test rapidi e affidabili nelle aree rurali. Così Diagne ha elaborato un sistema per identificare i casi positivi ricorrendo all’intelligenza artificiale.
Per prima cosa ha trovato, attraverso l’università, un laboratorio che le fornisse un grosso numero di cellule infettate. Con quelle ha poi addestrato l’intelligenza artificiale a riconoscere i casi positivi. Per vedere la tecnologia all’opera, basta collegare un computer su cui è installato il software a un microscopio (vanno bene anche i microscopi stampati in 3d, che sono economici e facili da trasportare).
L’esperimento sembra promettente. È stato celebrato a una conferenza sull’intelligenza artificiale in Ghana, in Senegal ha ricevuto un finanziamento e a fine novembre verrà presentato a un corso di formazione in Svizzera. Per sostenere questa e altre idee simili, Diagne ha anche fondato una startup. L’ha chiamata Afyasense, da afya, che in swahili (una lingua parlata nell’Africa orientale) vuol dire salute.
Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.
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