Euforia, speranza, inquietudine e preoccupazione: la vittoria il 5 novembre di Donald Trump alle elezioni statunitensi ha suscitato reazioni e sentimenti tra tutti i leader latinoamericani e avrà sicuramente delle ripercussioni nella regione. Vari leader di destra e di estrema destra si sono affrettati a congratularsi con il candidato repubblicano per la vittoria su Kamala Harris, ottenuta anche grazie al voto dei cittadini di origine latinoamericana che vivono negli Stati Uniti.
Uno dei primi a fare i complimenti a Trump è stato il presidente ultraliberista dell’Argentina Javier Milei, da sempre un ammiratore entusiasta del leader repubblicano con cui ha in comune una retorica incendiaria e spesso violenta e un modo di fare politica aggressivo e combattivo. Sul suo profilo Instagram Milei ha pubblicato varie immagini che ritraggono lui e Trump abbracciati ed esultanti, alcune realizzate chiaramente con l’intelligenza artificiale, come quella in cui Trump abbraccia un enorme leone in giacca nera e cravatta rossa, un’allusione al soprannome con cui Milei spesso si riferisce a se stesso: il leone.
In Brasile l’ex presidente di estrema destra Bolsonaro, che è interdetto dalla politica fino al 2030, ha scritto sul social network X che è rinato un vero guerriero e che Trump è risorto di nuovo come pochi nella storia sono stati in grado di fare. Molto meno entusiasta, per ovvie ragioni ideologiche, è stata la reazione del presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva, che sul social X ha scritto “la democrazia è la voce del popolo e dev’essere sempre rispettata, e il mondo ha bisogno di dialogo e di collaborazione per avere più pace e prosperità”.
La vittoria di Trump e il suo modo di fare politica hanno ispirato e con ogni probabilità condizioneranno nei prossimi anni alcuni leader populisti ed estremisti della regione, penso in particolare a Nayib Bukele nel Salvador e a Daniel Noboa in Ecuador, entrambi sostenitori di una strategia di tolleranza zero contro la criminalità. Trump alla Casa Bianca sarà per loro un’opportunità di stringere un’alleanza continentale contro tutte le sinistre, non solo quelle autoritarie ma anche quelle moderate, come lo sono i governi di Brasile, Colombia e Cile. E anche un modello a cui ispirarsi – e una giustificazione – per portare avanti politiche razziste, xenofobe e contrarie ai diritti delle minoranze e delle donne, per esempio introducendo limitazioni più severe al diritto all’aborto, nei casi in cui è garantito.
In Colombia il nuovo presidente degli Stati Uniti potrebbe scontrarsi con Gustavo Petro, primo leader di sinistra della storia del paese. Subito dopo la vittoria Petro ha detto che “l’unico modo di chiudere le frontiere è garantendo la prosperità dei paesi del sud e mettendo fine ai blocchi economici”, un riferimento alle sanzioni economiche imposte all’Avana e a Caracas.
Il Venezuela, Cuba e il Nicaragua meritano un discorso a parte. Trump dovrà ascoltare i segnali che arrivano dalla sua base elettorale soprattutto in Florida, dove si concentrano le pressioni più forti contro i governi autoritari di sinistra. Potrebbe quindi decidere di imporre ulteriori sanzioni economiche contro i funzionari di questi paesi e in generale di portare avanti una politica estera più aggressiva, anche se sicuramente l’America Latina non sarà la priorità dell’agenda di Washington, che dovrà occuparsi della guerra in Ucraina, del conflitto in Medio Oriente e della rivalità con la Cina. L’opposizione venezuelana, che ha denunciato la vittoria con brogli di Maduro alle elezioni dello scorso luglio, si è affrettata ad applaudire il successo del candidato repubblicano contro Kamala Harris, benché durante la sua precedente amministrazione non abbia in nessun modo contribuito a risolvere la crisi politica e sociale che vive il Venezuela.
Per la vicinanza geografica e gli stretti legami economici con gli Stati Uniti, i due paesi che probabilmente risentiranno di più della presidenza Trump sono il Messico e Cuba. Le politiche protezionistiche di Trump potrebbero avere conseguenze sull’economia messicana così come la revisione del trattato di libero commercio in programma nel 2026. Se il nuovo presidente manterrà le sue promesse elettorali, alla frontiera meridionale con il Messico aumenteranno la militarizzazione e i respingimenti di migranti che cercano di entrare negli Stati Uniti. Per quanto riguarda Cuba, c’è il rischio di un inasprimento dell’embargo, in vigore dagli anni sessanta, in un momento in cui l’economia dell’isola è in ginocchio e non potrebbe sopportare un ulteriore isolamento internazionale. Il 7 novembre il passaggio dell’uragano Rafael ha provocato un altro blackout dopo quello di qualche settimana fa, durato quattro giorni. Settantamila persone sono state evacuate, ma non ci sono state vittime.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
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