All’inizio era sembrata una lunga vacanza, una lunga coda del carnevale. Si andava a spasso in bicicletta e si guardavano i cartoni anche al mattino. Poi la vacanza è finita di colpo, Milano ha cominciato ad apparire deserta, al parco non si poteva più mettere piede e se per strada si incontrava un altro bambino era proibito salutarlo con un abbraccio. I nonni poi, anche solo andandoli a trovare si poteva farli ammalare. E fu così che, nel giro di poche ore, la vita dei nostri figli è cambiata e loro si sono ritrovati, più o meno inconsapevoli, a disegnare arcobaleni da appendere alle finestre, mentre fuori sbocciava la primavera.
Ma in tutto questo sconvolgimento cosa è accaduto e sta accadendo nelle loro teste? Che cosa pensano, immaginano e sentono soprattutto i più piccoli, quelli che non hanno ancora sei anni, che non vanno alla scuola dell’obbligo e non sono stati investiti da programmi ministeriali da portare a compimento a distanza? Coloro che, come spiega la psicoterapeuta Chiara Gusmani, si trovano in uno stadio pre-astratto e non hanno quindi sviluppato la logica e la capacità di un pensiero ipotetico?
“I bambini hanno bisogno di sicurezza, di spiegazioni semplici e chiare che possano essere ricondotte alla loro percezione del mondo. Dobbiamo stare attenti a non essere incoerenti, non possiamo dire ‘non è nulla’ e poi passare tutto il giorno attaccati alle notizie o parlare al telefono usando termini allarmanti”, dice Gusmani. “I bambini, anche se piccoli, hanno un loro bagaglio con cui ragionano”, spiega Elena Nava, ricercatrice in psicologia dello sviluppo all’università Bicocca di Milano, “e se sono stati abituati a crescere in un ambiente sociale ricco di relazioni che improvvisamente scompare, se ne ritrovano privati. Ogni volta che si verifica un cambiamento il sistema soffre uno stress, l’adulto ci mette di più a superarlo, i bambini meno”.
I piccoli vivono nel presente, il che li porta a non preoccuparsi di quello che accadrà domani, cosa che invece negli adulti in quarantena comincia a generare una profonda angoscia. I bambini oggi sono dispiaciuti perché non hanno potuto festeggiare il compleanno come avevano sognato, perché la gita è saltata, ma non temono di perdere il lavoro. Quello che bisogna evitare è di proiettare su di loro le nostre paure.
Differenze e disuguaglianze
“Per capire cosa succede nella mente dei bambini in questa fase è fondamentale capire cosa succede in quella degli adulti che stanno con loro”, avverte Simona De Stasio, docente di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università Lumsa di Roma. “Dobbiamo poter garantire la massima qualità della loro forma psicofisica e organizzare il loro tempo aiutandoli a sostenere la rete di amicizie attraverso nuovi canali. Scandire una routine prevedibile come a scuola per i bambini è fonte di tranquillità”.
Per aiutare i genitori a orientarsi in questi giorni complicati la cooperativa sociale Eos di Besana Brianza, in Lombardia, organizza degli incontri su Facebook ogni sabato mattina. “Nonostante le difficoltà, oggi abbiamo davvero tutti più tempo da dedicare ai nostri figli, con ritmi e tempistiche che sono loro. Questa cosa può controbilanciare le assenze che stanno vivendo e quando torneranno alla vita di prima si porteranno dentro la ricchezza dei rapporti profondi coltivati in questi mesi”, dice Marta Beretta, psicologa e psicoterapeuta, animatrice del centro.
Tuttavia, la pedagogista e doula Cora Erba invita a tenere conto anche delle situazioni più delicate e rischiose. “Non è lo stesso ritrovarsi ‘chiusi’ in una casa con un giardino e una famiglia allargata in cui tutti si vogliono bene, e vivere invece in un monolocale magari assieme a una mamma ipocondriaca o a un papà violento”. Secondo Erba, quando la pandemia sarà finita e i bambini saranno cresciuti, ci saranno quelli che ricorderanno questo momento come un idillio perché coccolati e accuditi e quelli che, purtroppo, avranno vissuto un incubo di abusi e violenze, su di loro o sui loro familiari. “Come pedagogista”, dice Erba, “sono critica sullo slogan ‘Andrà tutto bene’: perché non lo sappiamo, e per tanti non sta affatto andando bene”.
Alcuni per colpa del Covid-19 hanno perso delle persone care, ma non le hanno potute salutare
“I più a rischio”, avverte Anna Rita Verardo, psicoterapeuta dell’associazione Emdr, “sono i piccoli, quelli che hanno meno di sei anni, perché per loro la dimensione ludica è fondamentale e hanno perso la vita all’aria aperta, il rapporto con i pari, che i più grandi compensano usando i social network. Poi ci sono i bambini che vivono in contesti familiari di disagio o con disabilità, come chi soffre di autismo, che hanno bisogno di schemi, e ancora i bimbi che vedono i genitori estremamente preoccupati. Alcuni per colpa del Covid-19 hanno perso delle persone care, ma non le hanno potute salutare, non hanno ritualizzato il lutto e non l’hanno quindi elaborato”.
Verardo in passato ha lavorato con i bambini colpiti dal terremoto di Amatrice e ricorda che quando parlava con loro di ciò che più li spaventava, i più grandi avevano paura di quello che avveniva all’esterno, mentre i piccoli temevano quello che accadeva all’interno, le emozioni della madre e del padre, perché sono loro la fonte di sicurezza.
Congelamento emotivo
“In questa situazione di emergenza i genitori sentono di aver perso le fila, di non riuscire a stare dietro a tutto”, spiega Elisa Campagnoli, psicoterapeuta e autrice del libro Eccomi!, dedicato allo sviluppo dei neonati. “I bambini vivono la confusione di avere i genitori a casa ma non nella modalità che vorrebbero, non tollerano la presenza-assenza. In questa circostanza, più che mai, è necessario fare attenzione ai loro comportamenti, osservarli. È possibile che si verifichino delle regressioni a stadi precedenti che danno sicurezza e funzionano da contenimento. Alcuni potrebbero tornare a cercare i peluche, il ciuccio o il biberon. E i giochi che i bambini fanno in questi giorni ci raccontano molto di quello che stanno vivendo: mettono in scena catastrofi, guerre, e richiamano la necessità di sentirsi protetti costruendo case, tende, rifugi”.
“A volte”, aggiunge Campagnoli, “arrivano da me genitori che decantano bambini diventati d’improvviso molto bravi, sereni, meno capricciosi: attenzione, non sempre questo è sintomo di benessere perché spesso i bambini mettono in campo una sorta di congelamento emotivo, il freezing che si verifica negli animali, una risposta che non è una risposta, ma uno stato di impotenza. Bisogna evitare che in un clima generale di allerta i nostri figli reagiscano come adulti, responsabilizzandosi eccessivamente e inibendo le loro emozioni”.
Che altro si può fare, dunque? “È un momento particolare, in cui noi come genitori dobbiamo abbassare le aspettative, anche su noi stessi”, raccomanda Beretta. “Dobbiamo anche tollerare la confusione e il disordine per permettere ai bambini di usare lo spazio liberamente: correre, andare sul triciclo, ballare. Dobbiamo garantirgli una buona dose di attività motoria perché in età evolutiva questo incide sullo stato psicofisico e anche sulla regolarità del sonno. Più mi muovo e seguo una dieta regolare, più mi addormento con facilità. Irritabilità, pianti, agitazione, è normale che si verifichino ma devono destare attenzione quando diventano pervasivi, rendendo il bambino impermeabile anche agli aspetti piacevoli”, aggiunge De Stasio. “Quando però un genitore non riesce a gestire le emozioni forti del bambino, quando lo spaventano, lo fanno arrabbiare o sentire impotente, allora va chiesto aiuto”, dice Verardo.
“A detta dei genitori che incontro i bambini in generale stanno bene, ma le conseguenze dell’isolamento e della poca attività ce le si possono portare dentro a lungo”, riflette Giovanna Romano, pediatra di base, “io non sono così convinta che una volta finita l’emergenza tutti torneranno di corsa al parco come se nulla fosse e in un paese come il nostro, con moltissimi problemi di obesità infantile e dipendenza dal web, questo è un aspetto da non sottovalutare”.
Bisogna dunque prepararsi già al dopo, pensa Giorgia Lo Giudice, educatrice di una scuola dell’infanzia di Milano: “Stare a casa a loro farà male, non c’è dubbio, ma dobbiamo sperare che questo momento di noia si trasformi in uno spazio creativo, performativo. Quando rientreremo a scuola sarà necessario lavorare molto sulle emozioni, creare una memoria condivisa di questo tempo sospeso”.
Anche Beretta è d’accordo sul fatto che ci saranno conseguenze relazionali che dureranno a lungo. “Soprattutto per i bambini che frequentano la scuola dell’infanzia”, dice, “ancora una volta sottovalutata e messa da parte, quando invece ricopre nello sviluppo del bambino un ruolo fondamentale. Sono questi gli anni in cui si costruisce il vocabolario emotivo e in cui il rapporto con le figure di riferimento è fondamentale. Le sparizioni generano angoscia e senso di colpa”.
Purtroppo però, nonostante questa convinzione condivisa, le scuole sono state chiuse all’improvviso senza dare la possibilità a bambini e maestre di salutarsi e il proseguimento del rapporto costruito con tanta cura giorno dopo giorno è stato affidato all’iniziativa e alla capacità tecnologica del singolo educatore, senza che dai dirigenti scolastici venisse dato un mandato specifico. Creando così un altro inevitabile divario.
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