Mentre i paesi europei stabiliscono le quote volontarie per accogliere i quarantamila richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia negli ultimi mesi, diverse organizzazioni internazionali sono riunite a New York fino all’8 luglio, nel Forum di alto livello sullo sviluppo sostenibile, per discutere l’ultima bozza dei nuovi obiettivi del millennio, che include per la prima volta le migrazioni come “sfida” allo sviluppo ma anche come fattore di crescita economica.

Gli obiettivi del millennio sono un’iniziativa lanciata dalle Nazioni Unite nel 2000 per dimezzare la povertà estrema entro quindici anni con interventi in otto diversi ambiti, dalla mortalità infantile all’istruzione. Oggi questi obiettivi sono “scaduti” e gli stati membri dell’Onu a settembre saranno chiamati a rinnovare i loro impegni con la ratifica di un nuovo documento, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Alla lotta contro la povertà, la fame e le disuguaglianze si aggiunge la sfida del cambiamento climatico, in linea con le decisioni della conferenza delle Nazioni Unite Rio+20 del giugno del 2012, e la migrazione e la mobilità come fattori determinanti per lo sviluppo e strategie di riduzione della povertà.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ifad le rimesse dall’Europa, cioè il denaro che i lavoratori migranti inviano alle loro famiglie, hanno raggiunto i 109 miliardi di dollari. Per la Banca mondiale nel 2014 a livello globale le rimesse hanno superato del 4,4 per cento quelle inviate nel 2013, arrivando a 436 miliardi di dollari, di cui 382 miliardi nei paesi in via di sviluppo.

Le rimesse sono un trasferimento di risorse finanziarie. Rappresentano una fonte di flussi finanziari esterni che possono essere usati nei consumi, nei risparmi o nell’avvio e gestione di attività imprenditoriali. Rispetto ad altre fonti di finanziamento esterno, sono più costanti, per esempio in rapporto agli investimenti esteri diretti, che tendono a diminuire quando c’è una crisi nel paese ricevente. Le rimesse in questi casi aumentano, aiutando la stabilità dei paesi d’origine. In caso di terremoti o guerre i migranti sono più propensi a inviare denaro alle proprie famiglie. Nel 2014 è stato registrato un aumento del 10 e del 13 per cento delle rimesse verso Egitto e Libano, a causa dell’alta presenza di rifugiati siriani nei due paesi. Inoltre, le rimesse sono un contributo diretto alle finanze domestiche, aumentano le risorse a disposizione delle famiglie e influiscono sui consumi nel mercato locale.

Migranti e imprenditori

L’Onu ha pubblicato una prima bozza della nuova agenda della lotta alla povertà, che i paesi membri si impegnano a ratificare all’assemblea generale di settembre a New York. Gli obiettivi individuati sono 17, con 169 impegni specifici. La migrazione viene citata più volte. Se ne parla nell’obiettivo 8, in cui gli stati si impegnano a “proteggere i diritti dei lavoratori”, citando in modo particolare “i lavoratori migranti e le donne migranti”.

Nella bozza dei nuovi obiettivi, al decimo punto si affronta il tema della riduzione delle disuguaglianze tra i paesi, chiedendo ai governi di facilitare una migrazione e una mobilità “sicura, regolare e responsabile”. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, il contributo che i migranti possono dare alle società di accoglienza dipende anche dal tipo di viaggio che hanno fatto per uscire dal paese d’origine: in termini di salute, per esempio, durante viaggi molto lunghi e rischiosi, come la traversata del Sahara o del Mediterraneo, i migranti soffrono di malnutrizione, sono spesso privati delle condizioni igieniche fondamentali o dell’accesso all’acqua potabile. I problemi di salute all’arrivo possono quindi diminuire le loro capacità di trovare lavoro e di acquisire indipendenza economica in tempi brevi.

Facilitare le rimesse è quindi un impegno importante nel quadro globale della lotta alla povertà. Ma non basta

Viene anche citato il ruolo dei migranti nell’economia dei paesi d’origine, con l’impegno a ridurre a meno del 3 per cento i costi di transazione delle rimesse dei migranti. Il costo per l’invio di fondi, che avviene per lo più attraverso servizi di trasferimento di denaro, è particolarmente alto per l’Africa, dove aziende come Western Union e MoneyGram operano in condizioni di quasi monopolio: in media i migranti pagano l’8 per cento di commissione per inviare denaro all’estero, in Africa subsahariana si arriva fino al 12 per cento, per un totale di 1 miliardo e 300 milioni di euro persi ogni anno che potrebbero entrare nei bilanci delle famiglie.

Facilitare le rimesse è quindi un impegno importante nel quadro globale della lotta alla povertà. Ma non basta. “I migranti devono essere inclusi nel dialogo e nei negoziati sulle politiche di sviluppo”, sostiene Gibril Faal, direttore di Africa-Europe development platform, un’associazione che promuove i contributi della diaspora africana nelle iniziative di sviluppo del continente. Faal ha partecipato a Bruxelles alle Giornate europee per lo sviluppo promosse dalla direzione cooperazione della commissione europea, dove dal 3 al 5 giugno organizzazioni non governative (ong), leader di governo e organizzazioni internazionali hanno preparato il terreno per la conferenza di Addis Abeba “Financing for Development”, una tappa verso la ratifica dei nuovi obiettivi del millennio promossa dalle Nazioni Unite.

Dal 13 al 16 luglio, in Etiopia, si discuterà di come finanziare lo sviluppo e, secondo Faal, “in quanto a numeri la diaspora ha già dimostrato di prendersi carico della crescita economica del continente”. Nel 2013 le rimesse verso l’Africa hanno superato gli aiuti allo sviluppo: i migranti hanno inviato 61 miliardi di dollari verso 120 milioni di nuclei familiari, mentre gli aiuti dai paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (aiuti pubblici, privati e altri fondi) non arrivano a 40 miliardi.

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In più, i migranti sono motore di sviluppo nel paese di arrivo: secondo l’ultimo rapporto Caritas Migrantes la ricchezza prodotta dai migranti in Italia è pari all’8 per cento del pil e sono almeno 316mila le imprese avviate da stranieri nel nostro paese.

La propensione all’imprenditorialità è un’altra caratteristica della diaspora africana che sostiene un’idea di sviluppo economico basata sull’aumento dell’occupazione, piuttosto che sui sussidi: il 90 per cento dei posti di lavoro in Africa è creato da piccole e medie imprese e, sottolinea Faal, “il sostegno agli imprenditori è quello che può portare al vero sviluppo economico”.

Tra ong e imprese c’è sempre stata un po’ di diffidenza, ma nel dibattito su come portare contributi alla lotta alla povertà e alla malnutrizione infantile, con la crisi economica che ha investito pesantemente anche i paesi industrializzati, il mondo della cooperazione ha capito che non può più escludere il settore privato. Inviando soldi a casa i migranti già sostengono il mercato e gli imprenditori locali in diversi ambiti: secondo un’indagine della Banca mondiale realizzata in cinque paesi africani, in Burkina Faso il 25,7 per cento delle rimesse provenienti da paesi non africani è usato per la costruzione di nuove abitazioni, il 23,5 per cento per gli alimenti e il 12,2 per cento per l’istruzione. In Kenya il 24,2 per cento delle rimesse è usato per investimenti, l’11 per cento per nuove case; il Nigeria il 24,8 per cento serve per l’acquisto di nuove terre e il 22 per cento per l’istruzione. In Senegal il 52,6 per cento è usato per garantire i pasti alla famiglia, mentre in Uganda si spende il 12,7 per cento per l’istruzione.

Un’altra potenziale fonte di finanziamento allo sviluppo sono i risparmi della diaspora: nel 2013 ammontavano a 497 miliardi di dollari e, secondo la Banca mondiale, si potrebbero raccogliere almeno cento miliardi all’anno per finanziare progetti attraverso un miglioramento non solo del sistema di invio, quindi con la riduzione delle commesse, ma anche del sistema di deposito. I migranti tengono i risparmi nelle banche dei paesi ospitanti, a tassi di interesse molto ridotti. Se le banche dei paesi d’origine fossero in grado di emettere una sorta di “obbligazione della diaspora”, con un un tasso di interesse del 3-5 per cento, per cinque anni, i migranti avrebbero più interesse a spostare i risparmi e con i ricavi si potrebbero finanziare progetti di sviluppo, soprattutto nei paesi ad alto tasso di emigrazione, dove i risparmi della diaspora rappresentano grandi percentuali del pil.

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I governi africani hanno capito l’importanza del ruolo della diaspora: molti paesi hanno istituito un ministero apposito che rappresenta gli interessi degli espatriati. Dopo il naufragio di un’imbarcazione nel Mediterraneo il 18 aprile 2015, il ministro dei senegalesi all’estero, Souleymane Jules Diop, è stato uno dei primi leader a richiamare l’attenzione dell’Unione europea sulle promesse mancate e sulla responsabilità delle morti in mare.

Prima di firmare nuovi impegni vincolanti per sradicare la povertà, il punto di vista dei migranti dovrebbe essere al centro della discussione.

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