La mossa del fondatore e leader storico del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Öcalan, che il 27 febbraio ha annunciato lo scioglimento del movimento armato e ha invitato i miliziani a deporre le armi, è stata definita unanimemente “storica”. E avrà pesanti conseguenze in tutta la regione, soprattutto in Siria e in Iraq, dove sono attivi gruppi alleati o vicini al Pkk.
Il conflitto tra il Pkk, considerato un gruppo terroristico da Ankara e dai suoi alleati occidentali, e le autorità turche ha provocato più di quarantamila morti dal 1984. Il processo di pace si è interrotto dieci anni fa e da allora il gruppo ha compiuto numerosi attacchi in Turchia, mentre l’esercito turco ha condotto operazioni militari nel sudest del paese e oltre il confine in Siria e Iraq. Ma le possibilità di un riavvicinamento sono aumentate negli ultimi mesi, dopo che Devlet Bahceli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp) e alleato del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ha invitato pubblicamente Öcalan a mettere fine alla ribellione del Pkk in cambio del suo rilascio.
Il 26 febbraio una delegazione del Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem, di sinistra e filocurdo) ha visitato l’isola-prigione di Imrali, nel mar di Marmara, dove ha incontrato per tre ore Öcalan, 75 anni, detenuto in isolamento dal 1999. Il 1 marzo il Pkk ha annunciato un cessate il fuoco con la Turchia. Anche se per ora la liberazione di Öcalan sembra improbabile e non si escludono spaccature interne alla leadership del Pkk, la decisione potrebbe provocare “la più grande trasformazione avvenuta in Medio Oriente”, come ha detto ad Al Jazeera Galip Dalay del centro studi Chatham House.
Un’analisi di Deutsche Welle nota che Erdoğan è mosso soprattutto da calcoli politici e vuole garantirsi il sostegno del Dem per restare al potere. L’articolo di L’Orient-Le Jour pubblicato su Internazionale spiega tutte le implicazioni per la questione curda in Turchia, ma anche le ripercussioni in Siria e in Iraq. Nelle zone a maggioranza curda nel nord dei due paesi la notizia è stata accolta con un misto di sollievo e preoccupazione.
L’annuncio di Öcalan s’inserisce in un momento particolarmente delicato per la Siria, impegnata in una faticosa transizione in seguito alla caduta del regime di Bashar al Assad a dicembre. Nel paese i curdi rappresentano tra il 7 e il 10 per cento della popolazione e dopo la scoppio della rivoluzione hanno istituito una loro amministrazione autonoma nel nordest della Siria, conosciuta come Rojava, che propone un progetto politico chiamato confederalismo democratico, basato su un sistema pluralistico, multietnico, sull’uguaglianza di genere, economica e culturale e sul rispetto dell’ambiente. Dal 2014 i combattenti curdi, riuniti nelle Forze democratiche siriane (Fds), sono stati un baluardo della lotta contro il gruppo Stato islamico.

Dopo l’annuncio di Öcalan, Mazloum Abdi, comandante delle Fds, ha parlato di una decisione storica che però non riguarda la sua milizia. Secondo lui, infatti, le Fds non dovrebbero essere sciolte, ma andare a rafforzare un nuovo esercito siriano. In queste settimane sono in corso dei negoziati con le autorità di Damasco, guidate da Ahmed al Sharaa, che però sembrano a un punto morto. Le Fds sono disposte a integrarsi nell’esercito siriano, ma come unità collettiva, non come individui. Al Sharaa si oppone a questa richiesta, temendo che si possa creare un esercito curdo all’interno di quello nazionale. Come spiega un’analisi di Le Monde: “Le due parti, decise a trovare una soluzione diplomatica alle loro divergenze, temporeggiano”.
Resta anche da vedere se Erdoğan ammorbidirà la sua posizione nei confronti dei curdi in Siria. Dal 2016 l’esercito turco e l’Esercito nazionale siriano, un gruppo armato sostenuto dalla Turchia, hanno lanciato diverse operazioni militari contro i territori controllati dalle Fds e hanno conquistato intere aree che si espandono per centinaia di chilometri lungo il confine tra i due paesi. Dopo la caduta di Assad, l’Esercito nazionale siriano ha lanciato una nuova offensiva per sottrarre alle Fds il territorio a ovest del fiume Eufrate. Ma di fronte alla possibilità di una maggiore distensione, Erdoğan, che esercita una forte pressione sulle autorità di Damasco, potrebbe decidere di abbassare le sue pretese per evitare di far deragliare il processo di transizione nel paese vicino.
Su Haaretz Zvi Barel scrive che gli sviluppi regionali, e in particolare la caduta di Assad e l’istituzione di un nuovo regime in Siria, ha “provocato un nuovo senso di urgenza per cercare un’intesa tra la Turchia e i curdi, con maggiori possibilità di successo”. Per Ankara non si tratta solo di prendere parte alla ricostruzione della Siria devastata da quasi quattordici anni di guerra: “Erdoğan vede il suo vicino a sud come una parte inseparabile dell’arco della sua influenza strategica regionale, dopo il ritiro dell’Iran dalla Siria”.
Il Pkk ha basi anche nel nord dell’Iraq, nelle aree amministrate dal governo regionale semiautonomo del Kurdistan. La Turchia ha ripetutamente bombardato questi luoghi e ha alcune basi nel nord dell’Iraq, cosa che ha causato tensioni con il governo iracheno. Il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, la cui famiglia è storicamente vicina ad Ankara, ha accolto con favore l’annuncio di Öcalan, che secondo diversi osservatori potrebbe contribuire a distendere le relazioni tra i paesi vicini. L’analista politico Ihassan al Shemmari conferma all’Afp che un processo di pace potrebbe “sollevare il governo iracheno dalle pressioni per spingere la Turchia a intervenire contro il Pkk”.
Le Monde nota che il movimento curdo nella regione non si limita ormai solo al Pkk e potrebbero esserci delle scissioni con alcuni gruppi, attivi anche in Iran, che potrebbero proseguire la lotta armata. Però, sottolinea un commento di Euronews, questa è “una rara opportunità storica di mettere fine a un conflitto decennale” in un momento di tumulti politici e sociali senza precedenti in Medio Oriente. Nonostante tutte le sfide e le incognite, bisognerebbe approfittarne.
Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.
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