Un altro tassista loquace, questa volta dall’aeroporto di Orly a Parigi. Quando ho detto che non ero parigina (purtroppo) e nemmeno francese, è cominciato l’intenso interrogatorio. “Ah, la Palestina!”, ha esclamato. “Cisgiordania o Gaza?”.
Non male, ho pensato (ma poi ho dovuto ricredermi). “Ramallah, ma sono una cittadina israeliana”, ho risposto. “Mazzal tov (buona fortuna)”, ha detto allegro in ebraico. Non era la frase più appropriata al contesto, ma ovviamente voleva esibire la sua conoscenza di alcune parole ebraiche.
Per un momento ho temuto che fosse uno di quegli ebrei della diaspora, che cominciano subito a parlare della vulnerabilità di Israele. Ero troppo stanca per una discussione, soprattutto in francese. Ma il tassista era rimasto colpito dalla mia vita “mista”. “Io vengo da una famiglia di pied-noir, i francesi d’Algeria”, (niente di cui vantarsi, ho pensato), “e abbiamo radici molto varie: cattoliche, musulmane, ebraiche”, ha detto.
Io ho educatamente sintetizzato: “Il miscuglio è la cosa migliore”. I suoi genitori (padre musulmano, madre cattolica) gli hanno dato la libertà di scegliere, mi ha spiegato con orgoglio. Così ha una fidanzata ebrea. Anche il marito di sua zia è ebreo e hanno parenti in Israele. Poi ha detto qualcosa sulla vulnerabilità di Israele e io, nel mio francese lacunoso, ho dovuto ricordargli l’occupazione e dire qualcosa di Algeri.
Sono rimasta sorpresa quando il giovane cameriere tunisino di un ristorante italiano, dove siamo andati dopo un incontro di Jews for Peace, non sapeva dove fosse la Cisgiordania. “È vicina all’Egitto?”, ha chiesto.
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