Per gli israeliani Einstein non è solo il nome di un grande scienziato, ma anche quello di uno dei cantanti più amati: Arik Einstein, morto il 26 novembre a 74 anni.

Gate48 è un gruppo formato da israeliani, in maggioranza donne, che vivono nei Paesi Bassi (il nome deriva dal gate dell’aeroporto Schipol da cui partono i voli per Tel Aviv e dall’anno di nascita dello stato di Israele). Le attiviste di Gate48, contrarie alle politiche israeliane contro i palestinesi, mi hanno invitata alla loro conferenza per parlare dell’occupazione. La dottoressa Nahla Abdo, una palestinese nata a Nazareth e diventata cittadina canadese trent’anni fa, ha parlato della cultura della resistenza espressa nella letteratura palestinese, delle donne che si sono unite alla lotta armata negli anni ottanta e delle loro esperienze nelle prigioni israeliane (la tortura era più diffusa rispetto a oggi).

A cena si è detta sorpresa e indignata per il fatto che le attiviste di Gate48 si definiscono “israeliane”. Perché non semplicemente ebree, ha chiesto. Conosco bene questo modo di ragionare. Lo stato israeliano è considerato da molti palestinesi un’entità artificiale che va abolita per creare un unico stato composto da ebrei e palestinesi. Questo approccio non tiene conto della realtà, cioè del fatto che Israele esiste. Esiste anche una cultura israeliana. Per esempio, il nome Arik Einstein rievoca infinite melodie e ricordi. È una cultura che non può essere cancellata per motivi ideologici.

“Traduzione di Giusi Muzzopappa”

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it