La vittoria incondizionata di Benjamin Netanyahu alle elezioni di questa settimana segna la sconfitta dell’élite dei sondaggisti: da più di due mesi ci hanno propinato praticamente ogni giorno sondaggi che mostravano il costante declino del suo partito, il Likud. Giornalisti che non nascondevano il loro disgusto nei confronti di Netanyahu hanno continuato a parlare della sua principesca magione e delle sue grette abitudini (la peggiore: i dipendenti delle sue residenze avrebbero pagato di tasca propria alcune delle sue spese personali, e in alcuni casi non sono stati rimborsati).

I laburisti, sotto la nuova insegna dell’Unione sionista, si erano divisi con i loro alleati una preda che non era ancora stata catturata. A onor del vero, va detto che i sondaggi avevano rivelato anche che secondo gli intervistati Netanyahu era quello che più meritava di guidare il governo.

Il popolo israeliano ha risolto la contraddizione: ha votato per il partito guidato dall’uomo che ai suoi occhi rappresenta la scelta migliore per il ruolo di premier. Un primo ministro che gode del sostegno costante di un quotidiano che appartiene a un miliardario ebreo diventato ricco grazie al gioco d’azzardo e ai casinò, e che viene distribuito gratuitamente a più di un milione di israeliani.

“Il popolo ha subìto il lavaggio del cervello”, hanno commentato alcuni miei colleghi. Non sono d’accordo. Non c’è stato alcun lavaggio del cervello, e non è per passiva stupidità che il popolo ha eletto per la quarta volta (e per la terza volta di fila) un primo ministro che vuole distruggere qualsiasi parvenza di stato sociale in Israele e che ha promosso la costruzione di una plutocrazia. Hanno votato per l’uomo che gli ha promesso un potenziale stato sociale nella Cisgiordania occupata.

Una pubblicità apparsa su Ynet, un nuovo sito web gestito da un oligarca rivale, lo spiega chiaramente: un appartamento di quattro stanze nella colonia di Ariel (a 30 minuti di auto da Tel Aviv) costerà 350mila dollari. Un appartamento di tre stanze alla periferia di Tel Aviv costa mezzo milione. A questo bisogna aggiungere le esenzioni fiscali, l’aria pulita e il bel panorama, strade migliori, assistenza sanitaria e istruzione. Anche se non andranno a vivere nelle colonie in Cisgiordania, gli israeliani ne avranno comunque la possibilità. Un rifugio a portata di mano in caso di difficoltà. Inoltre hanno votato per l’uomo che non consentirà mai un’equa distribuzione delle risorse nello stato di Israele propriamente detto e manterrà anche qui la supremazia ebraica.

Netanyahu ha conquistato la maggioranza in otto delle dieci città più grandi. I loro abitanti non stanno ancora partendo per le colonie, e non sono tutti ricchi. Al contrario, sono stati soprattutto i poveri e gli emarginati ad aver votato per Netanyahu e per la destra. La ricetta con cui ha vinto è stata un miscuglio di retorica e di atti di militarismo e machismo, di repressione militare esercitata sui palestinesi (che consente l’esistenza dello stato sociale in Cisgiordania) e di benedizione divina, sotto forma di quattro partiti ortodossi (uno, il più razzista, non ha superato la soglia dei 4 seggi, ma forse otterrà i voti necessari quando saranno conteggiati anche i seggi dei soldati).

Il popolo israeliano non ha subìto un lavaggio del cervello. È solo affetto da una grave forma di miopia. D’altro canto, non è la stessa diagnosi che formuliamo ormai da quarant’anni?

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Una versione più breve di questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2015 a pagina 23 di Internazionale, con il titolo “Una grave miopia”. Compra questo numero | Abbonati

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