“Mandela sarà rilasciato”, mi ha detto qualcuno. Lo sapevo già, me l’aveva detto il mio amico israeliano che segue le udienze del tribunale militare. Mandela, 24 anni, è stato interrogato per 54 giorni sulle sue attività nel “blocco laburista” (organizzazione studentesca di sinistra) all’università di Bir Zeit, in Cisgiordania. Il giudice militare ha stabilito il suo rilascio con una cauzione di 900 euro. Mandela potrebbe però essere richiamato dal tribunale se il procuratore militare decidesse di presentare una denuncia contro di lui (per affiliazione a un’organizzazione illegale).

Conosco il padre da vent’anni. Anche lui è stato in carcere. Lunedì sera l’ho chiamato per sapere quando avrebbero liberato il figlio. “Adesso”, ha risposto. “Sto andando a prenderlo al checkpoint”. Mi sono affrettata e l’ho raggiunto. C’era una folla di ragazzi e ragazze in attesa. “Non dobbiamo esagerare con i festeggiamenti”, ha avvertito qualcuno. “Se sembriamo troppo contenti lo rilasceranno a un checkpoint più lontano”. Alla fine l’hanno liberato alle 22.30. Ha baciato e abbracciato tutti, mentre il padre aspettava educatamente il suo turno.

Tornando a casa la radio militare trasmetteva il mio programma preferito, Le vite degli altri. Che ci crediate o no, racconta storie di combattenti per la libertà. Stavolta si celebrava il compleanno di Rosa Luxemburg. A intervallare la lettura dei suoi testi davano canzoni come Mano alla bomba di Paola Nicolazzi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 marzo 2018 a pagina 31 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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