Per i palestinesi è il settantesimo anniversario della nakba, la catastrofe che tante perdite ha provocato. Per gli israeliani, invece, è l’anniversario della nascita di uno stato dopo secoli di persecuzioni e la morte di sei milioni di persone.
Il 15 maggio non ha mai avuto un unico significato per israeliani e palestinesi, ma mai come oggi il destino dei due popoli è apparso così diverso.
Tra qualche ora gli Stati Uniti inaugureranno in pompa magna la nuova ambasciata, trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme per decisione di Donald Trump. Andando incontro a tutti gli israeliani che considerano Gerusalemme come loro capitale unica e indivisibile da quando ne hanno conquistato la parte orientale nel 1967, gli Stati Uniti hanno infranto il consenso internazionale in virtù del quale le ambasciate straniere erano situate tutte a Tel Aviv, perché dal punto di vista giuridico l’annessione di Gerusalemme è solo un dato di fatto.
In questo modo Israele fa segnare un punto importante, coronando una settimana molto positiva. L’8 maggio gli Stati Uniti si sono ritirati dal compromesso nucleare siglato dalle grandi potenze e dall’Iran nel 2015. Nessuno sa quali saranno le conseguenze di questa decisione. Molti israeliani, giustamente, si preoccupano, ma la notizia rappresenta comunque un trionfo personale per il primo ministro Benjamin Netanyahu, convinto che l’accordo conceda a Teheran i mezzi finanziari per alimentare la proiezione iraniana in tutto il Medio Oriente, fino alla frontiera con Israele.
I paesi sunniti, Arabia Saudita in testa, si sono riavvicinati a Israele per contrastare il comune nemico iraniano
La verità è che i guardiani della rivoluzione, l’esercito del regime iraniano, stanno effettivamente costruendo delle basi al confine orientale di Israele, ma quando alla metà della settimana l’esercito israeliano ha colpito le strutture iraniane in Siria l’Iran non ha reagito, perché difficilmente potrebbe permettersi il lusso di aprire un altro fronte.
Poi c’è stato l’Eurovision e infine il trasferimento dell’ambasciata americana. Tutto sembra sorridere a Israele. I palestinesi, dal canto loro, si preparano per le grandi manifestazioni del 14 e del 15 maggio, organizzate a Gaza e in Cisgiordania. Ormai da sette settimane a Gaza le manifestazioni si svolgono ogni week end. Il bilancio provvisorio è di 54 morti. La solitudine dei palestinesi non è mai stata così completa, perché i paesi sunniti, Arabia Saudita in testa, si sono chiaramente riavvicinati a Israele per contrastare il comune nemico iraniano.
I palestinesi non possono contare su nessuno. Le loro divisioni interne sono talmente profonde e la loro impotenza talmente evidente che la destra israeliana non si preoccupa minimamente di cercare un accordo di pace.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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