Il premier indiano Narendra Modi è stato accolto giovedì alle porte meridionali di Xi’an, l’antica capitale cinese, con una cerimonia in costume tipica della dinastia Tang, il periodo d’oro della Cina imperiale. Ad accompagnarlo c’era il più importante dei suoi ospiti, il presidente della Repubblica popolare Xi Jinping. Siamo nella città che ha sempre segnato l’estremo orientale della Via della seta. Un punto altamente simbolico. È attraverso questa città che il buddismo, nato in India, arrivò nell’ex Impero di mezzo. E, secondo quanto raccontano i mezzi d’informazione di stato, da questa città ripartiranno i rapporti tra Cina e India. Nei nuovi equilibri mondiali del ventunesimo secolo i due giganti asiatici saranno costretti a confrontarsi su molti temi. E sarà meglio per loro che si trovino d’accordo. O almeno questa sembrerebbe la volontà dei loro leader.

Geograficamente divisi dalla quasi invalicabile catena himalayana, i due paesi hanno seguito un percorso parallelo per migliaia di anni. Sono stati tra le prime civiltà agricole ad adottare una forma di organizzazione sociale complessa a cui è seguita l’invenzione della scrittura. Hanno creato i propri dèi e i propri imperi. Sono state civiltà fiere fino a quando non si sono dovute scontrare con il colonialismo occidentale. In epoca moderna, le due giovani nazioni si sono rialzate combattendo in maniera diametralmente opposta un nemico comune: l’imperialismo. E per un lungo periodo hanno condiviso gli stessi problemi: isolate dal resto del mondo e con un pil pro capite tra i più bassi del pianeta, per molti anni non hanno attirato capitali stranieri. Ma poi le cose sono cambiate. La Cina oggi è in corsa per diventare la prima economia mondiale. L’India le sta dietro ma, per quanto la sua crescita economica acceleri, il suo pil pro capite è ancora solo un sesto di quello cinese.

Gli scambi commerciali tra le due economie ammontano già a 70 miliardi di dollari, ma l’India ha un deficit di quasi cinquanta miliardi nei confronti della Cina. Oggi a Pechino le due potenze hanno firmato altri 24 accordi commerciali per il valore di 10 miliardi. Hanno trovato un’intesa su ferrovie, istruzione e ricerca scientifica. Ma molti degli antichi nodi sono ancora da risolvere. Soprattutto sui confini. Per esempio c’è una regione che la Cina chiama Zangnan, o Tibet del Sud, e che l’India chiama Arunachal Pradesh. Oppure il corridoio economico che dovrà collegare la parte più occidentale della Cina con il porto di Gwadar, in Pakistan. Il sistema di strade, ferrovie e oleodotti passerà per quei territori che l’India chiama significativamente il “Kashmir occupato dal Pakistan”. Come la storia insegna, è sui territori contesi che i grandi imperi finiscono per scontrarsi. E oggi – nonostante il romantico selfie al Tempio del cielo di Pechino con il premier Li Keqiang che Modi ha diffuso sui propri social network a fine giornata – non si è trovato un accordo. Modi ha dichiarato che Li ha acconsentito a esplorare “una soluzione accettabile per entrambi”, e Li ha ribadito che i due paesi devono costruire “un ordine internazionale più ragionevole e giusto”. Insomma, per il momento gli accordi sono solo economici.

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