Il New York Times di qualche tempo fa pubblicava una notizia che ha attirato la mia attenzione. Due scienziati dell’università di Dartmouth in Nuova Scozia, il professor Farid e il suo allievo Eric Kee, pubblicheranno sulla rivista scientifica The Proceedings un loro articolo in cui spiegano come hanno messo a punto un software in grado di classificare il tasso di ritocco di un’immagine con Photoshop. Il trattamento delle immagini sarà valutato secondo una scala che va da uno a cinque. Viene da chiedersi se in effetti sarà un grande passo avanti per l’umanità.

Sappiamo fin troppo bene in che modo delle indossatrici anoressiche siano diventate un modello per tantissime adolescenti. Sappiamo a che punto sono arrivate alcune ragazze per non prendere sul serio una questione che è in realtà molto grave. Perché c’è qualcosa di mostruoso nel voler spingere degli esseri umani a identificarsi con delle immagini chiaramente fasulle.

Questo software è stato messo a punto partendo da immagini che per definizione sono state realizzate per far sognare, per ingannare. Immagini pubblicitarie che non sono regolate da nessuna deontologia, ma solo dai limiti volatili del buon gusto. Bisognerebbe applicare questo software a tutte le immagini, anche a quelle che arrivano dai mezzi d’informazione. Perché il problema non è tanto il ritocco, quanto l’intenzione di modificare maliziosamente la realtà.

Internazionale, numero 929, 23 dicembre 2011

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