Dal festival di Cannes, come da tanti altri festival cinematografici, spesso ci arrivano quasi esclusivamente le immagini delle star che sfilano sul tappeto rosso, dei flash dei fotografi, della flotta degli yacht dei super ricchi che in quei giorni incrociano nella baia della cittadina francese, ospitando feste a cui tutti cercano disperatamente di farsi invitare.
Quest’anno la casualità della programmazione ha fatto sì che si succedessero le proiezioni di due film:
L’image manquante del cambogiano Rithy Panh, che faceva parte della sezione Un certain regard, e Le dernier des injustes del francese Claude Lanzmann, presentato fuori concorso. Che Rithy Panh abbia vinto un premio non è importante. Quello che unisce i due film, e che vale la pena di dire, è molto più importante di qualsiasi palma. Sono due uomini che hanno dedicato instancabilmente la loro opera (e la loro vita) a indagare su due grandi genocidi del novecento: quello messo in atto dai nazisti nei confronti degli ebrei e quello perpetrato dai cambogiani marxisti contro il loro stesso popolo.
Le dernier des injustes e L’image manquante sono due film consumati da un’unica grande questione: quale estetica è accettabile per fare del cinema su queste grandi tragedie? Qual è “l’immagine giusta”? C’è solo una cosa, troppo spesso messa da parte, che può portare a una risposta valida: l’etica.
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