Da presidente l’aveva ribadito più volte mentre terminava il suo mandato: “Noi non andiamo da nessuna parte”. La sua era stata una conclusione della presidenza piuttosto turbolenta – impeachment, provvedimenti di grazia discutibili e una lunga disputa sull’esito delle elezioni – ma sapeva di poter contare su seguaci devoti. E aveva tutta l’intenzione di conservare la sua forza politica. Il ragionamento non valeva solo per lui. Anche la sua famiglia era ansiosa di approfittare del suo successo elettorale. Di solito un ex presidente mantiene un basso profilo per qualche tempo dopo la fine del mandato. Lui non l’avrebbe fatto. Avrebbe continuato a dominare il suo partito e a rappresentare una potenza politica.
Alla fine, però, il piano non è andato come previsto. L’ex presidente è rimasto nella sua nuova casa (dopo aver abbandonato lo stato in cui aveva vissuto a lungo) sorseggiando Diet Coke e chiamando i suoi amici per lamentarsi del trattamento ingiusto che a suo dire gli era stato riservato, nonché dei fanatici procuratori che l’avevano preso di mira. “Starlo a sentire era sfiancante”, ha ammesso un suo amico.
L’anno era il 2001, e l’ex presidente era Bill Clinton. “Quando un presidente termina il suo mandato ci si aspetta che sparisca per un po’, cedendo il palcoscenico al nuovo arrivato e concedendo a noi il tempo di dimenticare i motivi per cui non eravamo troppo dispiaciuti di vederlo uscire di scena”, scriveva Time.
Argomenti in comune
È difficile che Donald Trump chiami Clinton per lamentarsi, anche perché Clinton non accetterebbe mai la telefonata. Ma se per qualche motivo tra i due nascesse un’intesa, potrebbero scoprire di avere diversi argomenti di discussione. Parlare della relativa irrilevanza di Trump potrebbe sembrare un atto di sfida verso il destino, ma è innegabile che l’ex presidente sia rimasto piuttosto ai margini dopo aver lasciato la Casa Bianca. Non è solo una sensazione. Di recente Philip Bump, del Washington Post, ha rivelato che le ricerche su Google e le immagini trasmesse dalla tv via cavo su Trump sono tornate ai livelli precedenti alla sua candidatura. Solo le citazioni nei notiziari delle tv via cavo restano numerose, ma anche quelle sono in calo.
Una sfuriata di aprile – davanti a una platea di funzionari e finanziatori repubblicani Trump ha definito il più potente politico repubblicano del paese “uno stupido figlio di buona donna” – ha evidenziato la crisi di popolarità dell’ex presidente. Il discorso ha suscitato una certa attenzione, ma niente di straordinario. L’epoca in cui “covfefe” poteva sfiancare il paese per giorni si è fortunatamente conclusa.
È evidente che a Trump manca il poter twittare e ricevere un riscontro immediato
Una teoria diffusa rispetto alla scomparsa di Trump è che l’essere stato bandito da Twitter e da altri social network abbia neutralizzato la sua capacità di raggiungere un vasto pubblico. Grazie al suo profilo Twitter, infatti, Trump poteva trasmettere qualsiasi pensiero o polemica gli passasse per la testa a milioni di follower. A quel punto i mezzi d’informazione si occupavano della sua ultima sparata e del dibattito che aveva scatenato. A dimostrazione della bontà di questa tesi c’è il fatto che l’eclissi di Trump sembra essere cominciata attorno all’8 gennaio, quando Twitter ha annunciato di averlo messo al bando.
È evidente che a Trump manca il poter twittare e ricevere un riscontro immediato. Dopo la sospensione ha cominciato a inviare le sue dichiarazioni via email ai giornalisti (spesso più di una al giorno) presumibilmente nella speranza che le diffondessero su Twitter. Ma non è la stessa cosa.
Punti deboli
Prima di tutto, libero dalla limitazione dei 280 caratteri, Trump tende a manifestare l’incoerenza così evidente nei suoi comizi. In secondo luogo i sentimenti che appaiono semicomprensibili nel caos dei social network diventano insensati e vuoti una volta sbarcati nella casella di posta in arrivo (perché mai Trump invia dichiarazioni per elogiare Stephen Miller? Mi sono perso qualcosa? O è lui che si è perso qualcosa? Entrambi?).
Anche la teoria di Twitter ha i suoi punti deboli. Al momento del bando i tweet di Trump facevano ancora tremare i funzionari del governo, ma avevano cominciato a perdere forza già nel 2019. Le risposte ai tweet stavano diminuendo, e i tentativi di Trump di bilanciare quel declino moltiplicando gli interventi avevano diluito il risultato. Il paese sembrava aver sviluppato una certa indifferenza rispetto alle sparate dell’ex presidente.
Inoltre bisogna considerare il fatto che una parte della fama di Trump non ha bisogno di un profilo Twitter. Come candidato presidenziale ribelle, nel 2015 Trump aveva scoperto che Twitter era uno strumento utile per influenzare il dibattito, anche se inizialmente pochi giornalisti e politici avevano preso sul serio la sua candidatura. Ma una volta entrato alla Casa Bianca Trump ha avuto molti altri strumenti per attirare l’attenzione dei mezzi d’informazione: conferenze stampa, interviste formali, dichiarazioni nell’ufficio ovale.
Anche se sta perdendo il controllo dei mezzi d’informazione, Trump mantiene quello del Partito repubblicano
Nonostante abbia spesso ignorato questi metodi durante il suo mandato – nei primi due anni non ha pronunciato alcun discorso nell’ufficio ovale – oggi sta usando quelli che gli restano. Per un certo periodo di tempo, dopo l’assalto al congresso del 6 gennaio, Trump è rimasto stranamente in silenzio, apparentemente su consiglio dei suoi collaboratori che l’avevano invitato a farsi da parte mentre il senato valutava il suo impeachment.
Una volta svanita la minaccia, Trump è tornato a farsi sentire. Ha continuato a rilasciare dichiarazioni pubbliche (anche in occasione del comitato nazionale repubblicano alla metà di luglio) e ha concesso interviste a decine di emittenti “amiche”. Inoltre, ha rilasciato almeno una decina di interviste per la stesura di libri sulla sua presidenza. Trump potrebbe ottenere una maggiore visibilità se accettasse di parlare con un intervistatore meno asservito – quelli con Jake Tapper o Mary Louise Kelly, o un secondo atto con Chris Wallace o Lesley Stahl sarebbero sicuramente dialoghi più esplosivi – ma resta il fatto che fino a poco tempo fa una sua telefonata durante la trasmissione Fox & Friends bastava per fare notizia.
Un altro eroe
Trump potrebbe cadere vittima del suo stesso successo nel monopolizzare il ciclo di notizie. Innanzitutto è probabile che i mezzi d’informazione abbiano finalmente cominciato a imparare la lezione evitando di dare risalto alle sue provocazioni più aggressive e futili. Poi bisogna tenere presente che la sua capacità di controllare le notizie dipendeva dal lanciare provocazioni sempre più colossali. Una volta che hai provato a ribaltare un’elezione presidenziale non c’è più molto spazio per aumentare la posta in gioco (tocchiamo ferro, perché se c’è qualcuno in grado di trovare questo spazio è sicuramente Trump).
Trump ha avuto successo trasformandosi nel megafono delle rivendicazioni della sua base, ma i suoi attacchi in merito alle elezioni – anche se ha cercato di inquadrarli come una crociata contro i brogli ai danni del popolo americano – sono fondamentalmente una ribellione contro quello che ritiene un affronto personale, non indice di una causa più vasta. I sondaggi indicano che molti repubblicani sono convinti che le elezioni del 2020 siano state manipolate, e il danno arrecato sul lungo periodo alla fede nella democrazia è estremamente pericoloso.
Tuttavia nel futuro immediato nessuno manterrà lo stesso livello di rabbia di Trump a proposito del voto. Alcuni seguaci che lo consideravano l’uomo che avrebbe sfidato l’establishment incasseranno la sua sconfitta come la dimostrazione che la politica è condannata, e scivoleranno nell’apatia e nel disimpegno. Per altri la sconfitta lo rende automaticamente un perdente, e questo è particolarmente dannoso considerando quanto Trump odi i perdenti. Queste persone cercheranno un altro eroe.
Ma anche se sta perdendo il controllo dei mezzi d’informazione, Trump mantiene quello del Partito repubblicano. Una consistente minoranza della popolazione continua a sostenerlo. L’ex presidente è in vetta ai sondaggi tra gli elettori repubblicani in vista delle elezioni del 2024. Repubblicani di spicco come Kevin McCarthy e Steve Scalise effettuano pellegrinaggi a Mar-a-Lago per rafforzare la loro posizione. Il comitato per la campagna elettorale repubblicana per il senato ha inventato un premio solo per attribuirlo a Trump. Perfino figure come Mitch McConnell e Nikki Haley, che hanno duramente criticato Trump in merito sull’assalto a Capitol Hill, hanno dichiarato in modo infantile che lo sosterrebbero se fosse scelto come candidato nel 2024.
Ciò che Trump conserva senz’altro è il suo potere negativo, ovvero la capacità di silurare un repubblicano che non si sottomette al suo volere (almeno in teoria, perché questo potere non è mai stato messo alla prova). Ma al contempo ha perso gran parte del suo potere positivo, ovvero l’abilità di realizzare qualcosa, di distribuire nomine e concedere grazie, di perorare cause. Il problema di fondo per Trump è che nonostante i suoi sforzi non è più il presidente degli Stati Uniti. Questo significa che inevitabilmente è meno influente di prima.
Questa perdita di valore colpisce ogni presidente dopo la fine del mandato, anche quelli che come Clinton restano relativamente popolari (Trump non lo è mai stato). Nel corso di tutta la sua carriera politica Trump si è comportato come se fosse immune non solo dalle conseguenze legali delle sue azioni, ma anche da tutte le regole convenzionali della politica, ed è riuscito a convincere molti opinionisti di esserlo davvero. Finora ha schivato le insidie della legge, ma le regole della politica l’hanno già raggiunto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.
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