È stata scelta la vergogna, si avrà l’intervento militare. Per non aver saputo e nemmeno voluto trovare il modo di aiutare i venti studenti siriani che nel marzo del 2011 furono arrestati e torturati (con le unghie strappate) solo per aver scritto sui muri degli slogan favorevoli alla primavera araba, l’occidente si ritrova oggi di fronte a 130mila morti, un milione di profughi fuori dal paese, l’uso terrificante di arme chimiche e la sfida di governi autoritari (Russia e Cina) che testano la sua determinazione e il suo coraggio.
Una trappola perfetta per dei governi europei e americani che non hanno osato armare e sostenere militarmente la resistenza siriana iniziale quando era ancora possibile, prima che entrassero in gioco le forze fondamentaliste e prima che il campo siriano diventasse un luogo di esercitazione mondiale dove si delinea in particolare la frattura religiosa e culturale tra il mondo sunnita e quello sciita.
Per vari aspetti, l’attuale situazione siriana ricorda la guerra civile spagnola di ottant’anni fa. Per non aver avuto la forza d’animo di difendere dall’inizio la repubblica spagnola, l’Europa democratica di allora (con la Francia del socialista Léon Blum in testa) si ritrovò a lasciare lo spazio ai franchisti, supportati dai fascisti e dai nazisti anche per non rischiare di rinforzare gli stalinisti. Proprio come oggi si preferisce non intervenire per non rischiare di favorire sul serio i jihadisti.
Di fronte all’uso dei gas sulla popolazione civile nel distretto di Ghuta (la Guernica siriana), il presidente Obama ha con due anni di ritardo decretato che la linea rossa era stata superata. Però oggi non dispone più di una soluzione politica in mano. Troppo tardi. Da un lato, un attacco militare limitato rischia di trascinare gli Stati Uniti e il mondo in un conflitto di larga scala e ingestibile. Dall’altro l’intervento non sarà probabilmente risolutivo per mettere fine al massacro.
“L’obiettivo non è rovesciare il dittatore”, ha ammesso il presidente socialista francese François Hollande, favorevole a una operazione limitata “perché il massacro chimico non può rimanere impunito (con il rischio) di un’escalation che banalizzerebbe l’uso di queste armi e minaccerebbe altri paesi”.
In sostanza, passato lo “schiaffo” che gli sarà inflitto - nella speranza che non sarà né troppo forte né inutile – Bashar al Assad potrà continuare a martoriare il suo popolo, a condizione di non usare il gas, perché una sua sconfitta potrebbe portare al potere degli estremisti islamici. E poi si scommetterà su una improbabile conferenza internazionale per nascondere il fallimento politico e morale degli Stati Uniti e dei paesi europei in Siria.
In realtà, dopo l’onta per non essere intervenuto prima e la folle scommessa di intervenire oggi in modo tardivo e sgangherato, l’occidente avrebbe forse oggi una sola via per ritrovare dignità: quella di riconoscere la sua incapacità ad agire sul campo e trarne le conseguenze aprendo le sue porte alla popolazione civile siriana e organizzando la sua fuga dall’inferno quotidiano.
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