La settimana scorsa ho chiesto ai miei lettori di leggere il mio articolo fino in fondo. Lo faccio tutte le settimane, ma stavolta la sfida era esplicita. La società di analisi del traffico web Chartbeat mi ha dato alcune statistiche da cui si capisce che online non leggiamo gli articoli fino alla fine, e che spesso li condividiamo sui social network senza aver finito di leggerli.
Il titolo dell’articolo era:
“Non arriverete mai alla fine di questo articolo”. Voi ci siete arrivati? E se non lo avete finito, è stato perché era diviso in più pagine?
Per fortuna Chartbeat stava osservando gli utenti. Sì, siete arrivati alla fine di quell’articolo! O almeno lo hanno fatto più persone di quanto avrei immaginato. Date un’occhiata a questi due grafici, che mostrano come gli utenti hanno fatto scorrere in basso la prima e la seconda pagina.
L’asse X di questi grafici rappresenta il livello del testo: dall’inizio della pagina, che corrisponde a 0 pixel, al fondo, che corrisponde a 12mila pixel. L’asse Y rappresenta la quota di lettori che hanno interrotto lo scorrimento in un particolare punto della pagina (questi grafici escludono i lettori che sono “rimbalzati”, che cioè non hanno dedicato alla pagina neanche un momento).
Nella prima pagina c’è un picco notevole in corrispondenza degli 0 pixel: di tutti i lettori che hanno aperto la pagina, quasi la metà non l’ha mai fatta scorrere.
Ma la cosa interessante è cosa succede dopo gli 0 pixel. Sulla prima pagina il secondo picco si osserva quando bisogna cliccare per aprire la seconda pagina (si tratta del punto definito “fine del contenuto”: circa il 32 per cento dei lettori arriva fino a quel punto).
Per la seconda pagina, il picco più alto si trova in fondo all’articolo. Questo significa che di tutti i lettori che hanno deciso di far scorrere l’articolo molti hanno continuato fino in fondo.
In genere gli articoli di Slate non sono letti fino alla fine, ma questa volta sembra di sì. La spiegazione più convincente è che sono bravissimo a scrivere. La seconda, meno plausibile, è che c’è stato qualche strano effetto psicologico.
L’articolo si intitolava “Non arriverete mai alla fine di questo articolo”, quindi qualcuno potrebbe averlo finito solo per dimostrare che avevo torto. Altri potrebbero essere saltati fino alla fine giusto per vedere se c’era una specie di sorpresa. Quindi o hanno letto per ripicca oppure non hanno letto affatto.
Un’altra questione è quella della divisione in pagine. Io detesto l’abitudine di spezzare gli articoli online in pagine diverse: “È un segno di disprezzo nei confronti di chi chi vuole leggere gli articoli fino alla fine”, ho scritto un anno fa.
Dopo l’uscita del mio articolo della settimana scorsa molti mi hanno scritto che era la divisione in pagine a respingere i lettori di Slate. “C’è da stupirsi che i lettori tendano ad abbandonare la pagina prima della fine dell’articolo, se per arrivare alla fine bisogna fare lo sforzo di cliccare un link?”, ha scritto uno di loro.
È una buona domanda. Dai dati di Chartbeat potrebbe sembrare che la divisione in pagine impedisce di leggere gli articoli per intero. Ma esaminando più a fondo i dati, si scopre che la nostra disattenzione non dipende da questo.
Per cominciare, all’inizio delle pagine di Slate non c’è nessun indizio che faccia pensare a una divisione in pagine. Quindi chi abbandona l’articolo subito non lo fa di certo perché detesta l’idea che sia spezzato in più parti.
Secondo Chartbeat, il 14 per cento dei lettori ha cliccato per passare dalla prima alla seconda pagina e un altro 8 per cento ha preferito aprire la versione a pagina unica. Nel complesso, dunque, circa il 22 per cento dei lettori ha cliccato per leggere tutto l’articolo. È una percentuale bassa, ma solo un terzo delle persone che hanno letto la prima pagina ha raggiunto la fine dell’articolo, quindi quasi tutti i lettori che sono arrivati a quel punto hanno cliccato per continuare, e di questi la maggioranza ha finito l’articolo.
Quindi se siete passati alla seconda pagina, probabilmente cliccare non vi ha infastidito tanto da farvi smettere di leggere.
C’è un altro metodo per dimostrare che la divisione in pagine non è la causa della nostra incapacità di arrivare fino in fondo. Chi ha visualizzato tutto il mio articolo in un’unica pagina può averlo fatto in due modi diversi: cliccando sul tasto “Pagina singola” sulla prima pagina oppure aprendo un link pubblicato da qualche altra parte che puntava direttamente alla pagina singola.
Quando condivido i miei articoli su Twitter e su Facebook pubblico sempre un collegamento alla versione a pagina singola. Quando qualcuno finisce direttamente sulla pagina singola, legge più di chi apre la prima?
La risposta è no! Chi ha visualizzato solo la pagina singola, ha letto meno di chi aveva aperto la prima pagina. Ecco un grafico in cui sono rappresentati gli utenti che sono finiti direttamente sulla versione a pagina singola dell’articolo:
Il picco in corrispondenza dello 0 è enorme: il 60 per cento delle persone che hanno aperto la versione a pagina singola non ha mai fatto scorrere l’articolo verso il basso. La lunghezza media di scorrimento è stata di settecento pixel (due paragrafi). Quasi nessuno ha finito di leggere l’articolo.
Questo risultato è peggiore di quello della prima pagina, dove un terzo dei lettori ha cliccato per passare alla seconda.
Per finire, ecco un grafico che descrive il comportamento degli utenti che hanno cliccato per leggere la versione a pagina singola (a differenza di chi l’ha visualizzata seguendo un link esterno).
Sono stati questi i lettori più forti. Di tutti gli utenti che hanno cliccato per aprire questa pagina, il 44 per cento ha letto tutto l’articolo fino alla fine e solo il 12 per cento ha chiuso la scheda prima di farla scorrere verso il basso.
Ha senso: non si apre la versione a pagina singola se non si nutre interesse per l’argomento. La brutta notizia è che solo l’8 per cento dei lettori dell’articolo ha cliccato per vedere questa pagina. Queste persone interessatissime sono meravigliose, ma sono poche.
Un’altra cosa che mi hanno domandato i lettori era fino a che punto questi risultati fossero una novità. Nell’articolo scrivevo che la tendenza a non finire gli articoli è una dimostrazione del fatto che viviamo nell‘“era della consultazione rapida” e che questo si estende ben al di là del web. Dagli ebook ai film e alle serie tv in streaming, stiamo tutti assaporando uno sterminato buffet culturale.
Ma magari sono stato troppo pessimista. Diversi lettori hanno osservato che le persone abbandonavano gli articoli a metà anche con i giornali di carta. In effetti, la consultazione rapida influenza tutti gli aspetti dell’impaginazione di un quotidiano: i titoli, i sommari, le didascalie, la distribuzione degli argomenti e la struttura della piramide invertita servono a dare ai lettori un’idea del contenuto di un articolo anche se non lo leggono per intero.
Nel 2007 il gruppo di ricerca sul giornalismo Poynter ha studiato il movimento degli occhi di chi leggeva le notizie online e lo ha confrontato con quello di chi le leggeva sulla carta. Il risultato è che in media chi consulta gli articoli online legge lievemente più a fondo di chi consulta il cartaceo.
Se quindi ora siamo messi male, prima stavamo anche peggio. Il problema non è che in rete non si legge fino in fondo, ma che nessuno lo ha mai fatto in generale. C’è forse da rallegrarsene?
Per finire, prima che passiate alla sezione dei commenti per esprimermi tutto il vostro amore, studiate i grafici riportati sopra: senza eccezione, dimostrano che solo una minuscola percentuale di lettori scende fino alla sezione dei commenti. E adesso divertitevi a commentare!
(Traduzione di Floriana Pagano)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it